Bisturi nazisti

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Una caratteristica distintiva e inquietante del regime nazista, che assassinò 6 milioni di ebrei, insieme a 250.000-500.000 fra sinti e rom, e persone con disabilità o malattie psichiatriche, prigionieri politici, prigionieri di guerra, persone LGBTQ e altre minoranze, è il ruolo svolto dai medici, nel formulare, sostenere e attuare politiche disumane e genocide. Lo scrive La Commissione Lancet su Medicina, Nazismo, e Olocausto: evidenze storiche, implicazioni per oggi, insegnamenti per domani. Lanciata il 9 novembre 2023, è costituita da un gruppo internazionale di venti esperti in vari campi, coordinati da Herwig Czech, docente di etica e storia della medicina all’Università di Vienna, da Sabine Hildebrandt, pediatra al Children’s Hospital e alla Harvard Medical School di Boston e da Shmuel P. Reis, del Centro di educazione medica dell’Università Hadassah di Gerusalemme.

E’ importante ricordare che il periodo nazifascista è l’esempio più estremo e meglio documentato di complicità medica in comportamenti criminali; è importante ricordarlo oggi visto che in larga parte dell’Occidente è in atto un processo di neo-fascistizzazione: «Il fascismo e il razzismo sono mali profondi – scrive Alberto Burgio https://www.machina-deriveapprodi.com/post/saluto-al-duce  – fenomeni storici di lungo periodo. Componenti nefaste ma stabili [e trasversali] del contesto storico della nostra esistenza; mali contro i quali lottare per tutta la vita».

La conoscenza storica e la riflessione etica devono far parte del bagaglio di tutti, specie di quelli che si candidano a diventare medici o infermieri, per favorire la riflessione sul primato dei diritti della persona-paziente e la resistenza a future pressioni o tentazioni di natura finanziaria, accademica o politica che li compromettano.

Sacerdoti o mostri?

Dalla Commissione emerge che la professione medica in Germania aderì in larga parte a un’ideologia antisemita, razzista ed eugenetica nei confronti delle popolazioni che riteneva geneticamente inferiori. Josef Mengele non fu un criminale solitario: il 50-65%, dei medici tedeschi si iscrisse volontariamente al partito nazista (una percentuale molto più alta che in qualsiasi altra professione) e alle organizzazioni a esso affiliate, divenendo strumento del regime, insieme a istituzioni accademiche statali tra le più avanzate dell’epoca. Questi medici che collaborarono con il regime nazista non erano mostri, né ‘sacerdoti’ come vaneggiava Mussolini, ma persone con caratteristiche psicologiche condivise con il resto dell’umanità e con convinzioni scientifiche e obiettivi di carriera largamente diffusi, tanto da pubblicare le loro atrocità su libri e riviste scientifiche internazionali, ma su questo torneremo dopo.

Sciacallaggio e delazione: molti medici tedeschi, approvarono il licenziamento e la persecuzione dei loro colleghi ebrei e di quelli politicamente dissidenti. Furono attratti dalla possibilità di ricavare un vantaggio dall’estromissione dalla professione dei medici ebrei, che, nel censimento del giugno 1933, rappresentavano più del 10% dei 51.527 medici presenti in tutta la Germania e quasi il 40% dei 6.715 di Berlino. Dal 1938 nessun ebreo ebbe più il diritto di farsi chiamare medico.

Anche a Firenze, a seguito de ‘Il Manifesto degli scienziati razzisti’ (1938) alla cui stesura parteciparono diversi camici bianchi, furono radiati 49 medici ebrei (1939), a 3 fu concesso l’esercizio della professione a favore di cittadini di razza ebraica, gli altri o riuscirono a fuggire o furono deportati e assassinati nei campi di sterminio. “Le leggi razziali – che, oggi, molti studiosi preferiscono chiamare ‘leggi razziste’ – rappresentano un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagina infamante della nostra storia. (…) Vennero cercati – e, purtroppo, si trovarono – intellettuali, antropologi, medici, giuristi e storici compiacenti. Nacque il Manifesto della Razza. Letto oggi potrebbe far persino sorridere, per la mole di stoltezze, banalità e falsità contenute, se sorridere si potesse su una tragedia così immane.” (Dall’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del “Giorno della Memoria” – Palazzo del Quirinale, 25 gennaio 2018)

In Germania, nel 1933 il 25% dei medici ebrei censiti fu assassinato e circa due terzi lasciarono la Germania e l’Austria prima della guerra (principalmente verso gli Stati Uniti, la Palestina sotto mandato britannico e il Regno Unito). Un bandolo dell’intricata matassa che ha legato la medicina al nazismo è l’ossessione razziale. Molti dei medici sostenitori del nazismo contribuirono a preparare la legislazione sulla sterilizzazione forzata delle persone etichettate come geneticamente inferiori ed eseguirono la procedura su 310.000-350.000 di esse. Per opportunismo o convinzione personale, solo pochi rifiutarono di collaborare ai programmi di sterminio in cui almeno 230.000 vittime furono uccise, fra queste 7.000-10.000 bambini furono assassinati coi barbiturici, altri col gas nel programma Aktion T4 (dall’indirizzo Berlin Tiergartenstrasse 4 del quartier generale), per l’eutanasia di persone istituzionalizzate con disabilità fisiche, mentali e dello sviluppo. Più di 70.000 degenti psichiatrici furono uccisi con monossido di carbonio, tra il gennaio 1940 e l’agosto 1941. D’altronde la sterilizzazione forzata all’epoca era legale in altri paesi (sic!): “La legge nazista sulla sterilizzazione del 1933 ricalcava, in parte, quella adottata per decenni negli Stati Uniti (dove portò alla sterilizzazione forzata di almeno 64.000 persone disabili) per poi divenire, a sua volta, modello per i provvedimenti eugenetici degli stati scandinavi e baltici.”

Metastasi naziste.

Pochi furono i medici condannati a morte, pochi furono quelli imprigionati e solo per poco tempo, molti continuarono indisturbati la loro carriera clinica o accademica. “Le ragioni dell’esiguità delle punizioni furono sia ‘tattiche’ (la rimozione delle persone politicamente compromesse contrastava con la necessità di mantenere in funzione il sistema sanitario in un paese al collasso) sia ‘strategiche’: gli Stati Uniti valutarono utili le conoscenze scientifiche acquisite nella Germania nazista, anche in funzione anti sovietica.”

Resti umani nelle università e nelle istituzioni bioscientifiche. Dal gran numero di cadaveri prodotti dal nazismo estrassero vantaggio molti medici tedeschi. Gli anatomisti li usarono per i corsi di dissezione e per sviluppare le immagini dell’atlante di anatomia Pernkopf, i cui disegni, spesso firmati con l’aggiunta di una svastica, sono stati copiati in molte pubblicazioni post belliche. L’atlante è stato ritirato dal mercato solo nel 1998, in seguito a un rapporto dell’Università di Vienna. Però digitando su Google, ‘PERNKOPF. Atlante di Anatomia Umana’, abbondano le offerte, ricche di ‘figure, eseguite con teutonica precisione.’ Collezioni di cervelli di bambini continuarono a essere conservate negli scaffali universitari e a essere utilizzati, decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale, per le pubblicazioni scientifiche di Julius Hallervorden, di Berthold Ostertag, di Hans Joachim Scherer e Heinrich Gross. Tutt’ora ci sono malattie intitolate a medici criminali, come Wegener, Reiter, Asperger. Hans Asperger fu referente per tutte le questioni riguardanti la salute pubblica e la biologia della razza. Da docente, affermò pubblicamente: «Così come il medico deve spesso fare incisioni dolorose durante il trattamento delle persone, anche noi dobbiamo eseguire incisioni sul corpo nazionale, il Volkskörper, per un senso di grande responsabilità. Dobbiamo garantire che ai malati che trasmetterebbero le loro malattie a generazioni remote, a scapito dell’individuo e del Volk, venga impedito di trasmettere il loro materiale ereditario malato».

I valori fondamentali e l’etica dell’assistenza sanitaria sono fragili in quanto dipendono dallo spirito culturale dell’epoca e dalle circostanze politico-sociali. Per questo la Commissione Lancet ritiene che la formazione di professionisti sanitari moralmente coraggiosi e resilienti, attrezzati per affrontare le sfide deontologiche attuali e future e per diventare “agenti di democrazia”, possa essere favorita dalla conoscenza delle atrocità e ambiguità di questa storia e dalla costante riflessione critica sui passati fallimenti etici.

 

 

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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