Convincere Dio di Franco La Cecla

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Convincere Dio, è un libro di Franco La Cecla, sottotitolo “Note sul pregare”. L’argomento è inconsueto per questa rivista, ma stimolante, a cominciare dalla dedica dell’autore, antropologo, architetto e poeta: “A Franco Berardi, Bifo, l’ateo più spirituale che conosca” e dall’ultima frase del libro: “Rimane la questione di una eredità non trasmessa, di una gaffe tra generazioni, di una incomprensione rispetto a qualcosa che abbiamo tenuta nascosta e che nel frattempo, nel baule in cui l’abbiamo custodita, ci è ammuffita. Probabilmente non ci siamo accorti in tempo che a prescindere da noi qualcosa stava e sta riprendendo vita. A questo è dedicato il libro che chiudete.”

La gaffe cui si riferisce La Cecla, è quella dell’Occidente, che per spocchia, per un presunto realismo, per un atteggiamento di superiorità scientifica, ha relegato il religioso, l’invisibile, il pregare a un fatto del passato, avvolto dalle tenebre dell’ignoranza e della superstizione, illusione di menti primitive/ingenue, oppio dei popoli, miopia scientifica, mentre ha eletto il futuro, proiezione del nostro chiacchiericcio mentale, pattumiera del presente, come terra promessa:

Ci troviamo in una situazione paradossale in cui, masochisticamente, un Occidente che pensava di essere la civiltà piú avanzata ha abdicato all’esplorazione coraggiosa dell’esistenza. Siamo condannati da un presunto realismo a rinunciare alle stesse spinte che vengono dai nostri processi mentali, sensoriali, emozionali. Come se qualcuno ci avesse comandato di fare a meno di tutte le illusioni in nome di una concretezza che oramai non trova piú il terreno da cui sarebbe sorta. Il materialismo ansioso, di cui la rivoluzione industriale e il capitalismo si sono ammantati e che ha sostentato le religioni laiche nate al loro interno, puzza della deriva stanca del secolo XIX e oggi appare solo una ridicola ideologia occidentale”. Così prosegue La Cecla: “ Non conosciamo alcuna società contemporanea a noi, che sia in Oriente o tra i popoli nativi dell’Occidente o tra le culture del Sud e del Grande Nord, che non abbia un tipo di pratica per comunicare con l’invisibile. E se ci proiettiamo nel passato, per millenni non troviamo alcuna civiltà di cui abbiamo resti, tracce, lasciti che non si sia occupata in maniera quotidiana e pervasiva di allargare i propri orizzonti al di là dell’immediato fruibile ed esperibile. Nell’idea di esperienza di queste società è sempre presente un tipo di «aldilà», che accompagna e sostanzia il qui e ora. La nostra società è l’unica che si nega questa facoltà, frutto di una menomazione essenziale, come se avesse deciso di vivere in un quadro dell’adesso impoverito di tutte le influenze, le azioni, il sussurro, le ispirazioni che vengono da altrove. Una situazione di solitudine e di ascetismo assurdo, tanto piú che la nostra società crede quasi ciecamente in qualcosa di assolutamente invisibile – il futuro –, a cui sacrifica spesso il benessere e il buon vivere presente. Il futuro, qualcosa di intangibile e inafferrabile, su cui proiettiamo noi stessi come se fosse una terra promessa, da cui ci aspettiamo messaggi, compimenti di desideri, che viviamo come molto piú reale e convincente dell’oggi. Ma ultimamente «quello che sarà» è diventato opaco e improbabile, una pattumiera del presente, che ha ridotto le promesse a quelle di una sopravvivenza ai disastri causati da noi adesso. Questo forse spiega perché siamo una società che sta finendo. Credere nell’aldilà o credere nel futuro sono due cose simili (gestite in modo diverso: il primo è un tipo di ascolto, il secondo una proiezione del nostro chiacchiericcio).”

Comunicare con l’invisibile

“Pregare è una facoltà umana: nasce probabilmente dall’intuizione di poter comunicare con le presenze viventi, umane e non, che sono intorno a noi o sono passate o sono altrove, l’idea che si possa comunicare con l’invisibile costituito dagli esseri che si conoscono, si sono conosciuti o che si sono anche solo immaginati. Forse è dal culto dei morti o dallo stupore di fronte al cosmo che si origina tutto ciò che in Occidente chiamiamo «religioso», la convinzione che questo mondo di viventi sia molto piú ampio del visibile e tangibile […] si potrebbe definire l’invisibile dal punto di vista antropologico come un insieme di entità e di spazi che, per una data società, sono abitualmente considerati come non accessibili alla visione ordinaria, ma possono esserlo per una forma di visione speciale, non oculare. Queste esperienze possono essere chiamate «percezioni non sensoriali» per non cedere troppo in fretta al dualismo riduttore che oppone nel pensiero moderno l’oggettività della percezione all’illusione delle immagini mentali interne.”

Piegare l’invisibile

“Non solo bisogna saper pregare nel modo giusto, ma bisogna essere bravi nella diplomazia, nel prendere Dio per il verso giusto, nell’attirare la sua attenzione […] la preghiera è uno scalpello contro l’onnipotenza, è la possibilità di “fare cambiare idea al dio.” La parola “dio” nel testo a volte è scritta minuscola altre volte maiuscola. L’autore spiega di aver scelto “la presunzione monoteista di chiamare il proprio Dio con la maiuscola per essere fedeli al modo linguistico con cui queste religioni “imperiali” si presentano.” Chiamare democraticamente dio sempre con la minuscola, secondo l’autore darebbe “credito a una lettura psicologica e atea dell’efficacia divina del mondo. La lingua è soggetta in maniera terribile a incasellare qualcosa che è inafferrabile come il vento”.

Per convincere Dio, c’è il metodo della goccia che finisce per creare un buco nella roccia, La Cecla si riferisce alla preghiera continua, all’esicasmo, alla preghiera incessante del pellegrino russo, ma anche all’ “invocazione della divinità ripetuta migliaia, centinaia di volte, il muoversi del corpo degli oranti, il ritmo, la danza sono cose che ritroviamo altrove, anche a migliaia di chilometri di distanza e in contesti religiosi diversi.” L’autore qui si si riferisce ai sufi (particolarmente belle sono le pagine dedicate a Rumi) ma anche a religioni diverse dall’islam, quali la religione copta dell’Etiopia, a antichi culti aramaici, buddisti, gerosolimitani. Una lista incompleta di riti in cui la preghiera risulta pratica collettiva, che si serve spesso di gesti comuni e di strumenti simili, quali rosari, tesbīh, mālā. “Come dice Luhrmann, le pratiche rituali dimostrano che la relazione con le presenze invisibili ha più la natura del confronto e della disputa, non basta “credere”, occorre una tecnologia utilizzata insistentemente per piegare ai propri voleri l’invisibile.” La preghiera “significa invocare la divinità fuori o dentro di noi perché ci venga incontro e migliori le nostre vite”, è rivolgersi ad una presenza o a più presenze invisibili per motivare il proprio stare nel mondo, “è un lanciare in mare un messaggio in bottiglia, è un tentare di afferrare qualcosa che non si fa prendere, è il rischio non calcolato di non avere […] La nostra società è l’unica che nega questa facoltà, come se avesse deciso di vivere in un quadro dell’adesso impoverito da tutte le ispirazioni che vengono da altrove.”

Franco La Cecla, Convincere Dio, Giulio Einaudi, Torino 2024, pp. 160, € 13,00

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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