La società dell’ansia

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C’è una epidemia di ansia, non sempre clinicamente rilevata, più marcata dove maggiori sono le disuguaglianze, che è il riverbero esistenziale di un più generale malessere, di un’atmosfera emozionale che attraversa e caratterizza l’attuale società neoliberista. La crisi che si apre nell’esistenza individuale è una crisi nella crisi, scrive il filosofo Vincenzo Costa, nel piccolo, e interessante libro intitolato: La società dell’ansia, che introduce all’economia delle emozioni.

Ogni società, prima ancora di produrre merci, produce e distribuisce emozioni, prima di essere una cultura materiale è un’organizzazione emozionale […] che funziona quando la ripartizione emozionale genera legame sociale, e implode quando una parte della società non trae sufficienti benefici emozionali da questo modo di produzione e distribuzione delle emozioni. Così come una coppia.  

Le emozioni sono autocoscienza preriflessiva del proprio essere sociale e della propria situazione nel mondo, come la paura davanti all’orso: immediata, preriflessiva, automatica, implicita. […] Dove la vita emotiva è danneggiata o alienata da se stessa, il soggetto non ha più accesso alla propria vita. Emerge così una nuova forma di alienazione: si diventa estranei a se stessi. Un esilio esistenziale generatore di ansia, che spesso si accompagna a depressione. Si genera una crepa fra sé e sé. Ma nello stesso tempo, si genera una crepa fra sé e gli altri….si genera solitudine e ritiro sociale. Si è insieme ma soli. Ansia e depressione sono solo due forme di solitudine, spiega Vincenzo Costa.

Alla base dell’ansia sta l’esperienza di un mondo precario, il cui nucleo ontologico è l’instabilità e l’imprevedibilità […] L’ansia sorge in un soggetto che si trova situato in una società che ha fatto della prestazione e della comparazione il suo principio di funzionamento. […] In tutto si deve dimostrare di essere all’altezza di un codice fissato socialmente, anche se in maniera tacita ed implicita. L’ansia nasce dalla consapevolezza preriflessiva di dover esibire le credenziali di buona riuscita […] perché l’articolazione sociale è divenuta un enorme esamificio,…tutti siamo sempre sotto esame e gli eventi non sono possibilità per incontrare se stessi ma esami da superare per essere riconosciuti dagli altri […] in ogni azione è all’opera la minaccia valutativa, si è sempre esposti al giudizio degli altri, che determinano chi siamo e ci rimandano la nostra stessa immagine. A venire messa alla prova (“testata”) è la nostra identità: di qui l’ansia, cioè la consapevolezza che la propria identità è costantemente minacciata, che la vergogna incombe ad ogni istante: ansia come anticipazione di una vergogna possibile.

Nella società dell’insicurezza, il capitalismo domina le esistenze, riducendo la struttura della relazione sociale a un processo di comparazione continua, fondato sulla creazione di sentimenti di vergogna, inadeguatezza, fallimento, così che il soggetto produce e consuma per superare la propria insicurezza. Non si vive più la propria vita: si vive una vita per altri e si perde il rapporto con il proprio poter essere. Si inzia a desiderare ciò che gli altri desiderano, per ottenere il loro riconoscimento. L’esistenza diventa esistenza per gli altri, e perde il contatto con se stessa, con le proprie autentiche possibilità, si sente che la propria vita è in mano ad altri e fuori della propria disponibilità. Manca il futuro e la capacità di progettarsi, di inserirsi in un progetto.

L’esistenza ansiosa sogna di annullare la propria insicurezza ontologica attraverso il conseguimento del successo. Si tratta di un fantasma, nulla di più, ma di un fantasma che non può non avvincere perché genera l’illusione, cioè quella perversione del desiderio che fa credere che affermandosi socialmente l’esistenza troverà il luogo del proprio riposo: avendo dimostrato di valere non si dovrà più temere il fallimento e la conseguente vergogna.

La società della comparazione prescrive di essere felici. Perché l’infelicità è colpa, e deve produrre vergogna. Nascono così la società della felicità, in cui tutti devono essere felici, eternamente giovani, allegri e brillanti, ed il “proletariato emozionale” secondo cui tutti devono essere capaci di modificare le proprie emozioni a seconda delle richieste del mercato del lavoro. Per entrare nella rete di relazioni sociali bisogna saper trasformare la propria emozionalità e per questo ognuno cerca di fare un lavoro emozionale su se stesso, impara ad addomesticare le proprie emozioni per vendersi. In una sorta di “lotta di classe emozionale, per cui avere certe emozioni, sentirsi superiori, colti, riusciti e felici, è elemento  di appartenenza alla classe (superiore). Al converso, scivolare su termini diversi e ‘retrogradi’, toccare certi tasti, produrre delle frasi obsolete, è il segno dell’appartenenza ad una classe inferiore.

In questo modo, il tempo dell’esistenza passa senza essere vissuto, e si avverte un senso di squallore esistenziale: in maniera preriflessiva si avverte che il tempo della propria esistenza sta passando senza essere stato vissuto […] L’esistenza può sapere che è irragionevole preoccuparsi troppo, ma è incapace di arrestare il rimuginare e l’irrequietezza, perché ormai l’insicurezza si è infilata sotto la nostra pelle e a dominare e dirigere l’esistenza, sono i sentimenti di vergogna, inadeguatezza, sconfitta esistenziale, rabbia, paura, ansia, che sono altresì il motore del modo di produzione capitalistico attuale.

Entro questo clima sociale la struttura delle interazioni sociali solidali tende a collassare, maturano nuove forme di rabbia, risentimento, desiderio di vendetta, paura, che tendono a caratterizzare l’intero sistema sociale. Esse diventano l’articolazione emozionale che sorregge le nostre società, e sono generate dal clima di ostilità che la cultura neoliberale ha imposto come condizione dello sviluppo, del progresso e del dinamismo sociale ed economico. Questi sentimenti definiscono il ruolo dell’essere-insieme e le forme di accomunamento intersoggettivo nella società della desolidarizzazione e  dell’ostilità.

La minaccia valutativa, la meritocrazia e la competizione, vanno anche ad alimentare l’attuale deformazione pedagogica, che genera emozioni negative come vanità, desiderio di gloria, narcismo, e l’apparire piuttosto che l’essere, piuttosto che la formazione o la curiosità. Così dalle scuole emergono e poi diventano classe dirigente individui che dominano gli altri senza sapere dominare se stessi.

Comprendere che l’ansia sociale ha un nesso strettissimo, con l’insicurezza e con la minaccia socio-valutativa, può innescare una prospettiva rivoluzionaria, trasformativa della propria esistenza, basata su un lavoro emotivo, ancor prima che sulla discussione dei rapporti di produzione.

Non c’è alcun posto dove arrivare se non nella propria vita, per riappropriarsi del proprio poter-essere e con ciò spezzare quel circolo vizioso che costringe le esistenze a placare la propria ansia tramite azioni che alimentano quello stesso sistema che è causa della loro ansia. Antisistema è solo l’esistenza che si riappropria del proprio rapporto al tempo, e si installa nel proprio tempo, rendendosi invulnerabile all’ansia.

Il percorso di questo libro, che affronta molte altre tematiche, si interrompe sulla soglia della problematica delle possibili vie d’uscita dal disagio emotivo socialmente prodotto.

 

 

Vincenzo Costa, La società dell’ansia, Inschibboleth, Roma 2024-pp.137, euro 16,00

 

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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