Le alberature urbane svolgono diverse funzioni ambientali e sociali, tra le prime ne ricordiamo alcune, trattate nel presente articolo: regimazione delle acque meteoriche, mitigazione degli eccessi climatici, assorbimento dell’anidride carbonica e ossigenazione dell’aria, abbattimento delle polveri sottili e del biossido d’azoto.
Dei corridoi ecologici per flora e fauna e dei serbatoi urbani di biodiversità trattano diversi articoli precedenti.
Il suolo delle città di antica origine, delimitate per secoli da cinte murarie, perciò edificato il più densamente possibile, è impermeabilizzato per l’80% e oltre; la Carta dell’uso e della copertura del suolo della Regione Toscana individua con l’apposito tematismo “aree artificializzate” queste superfici, sulle quali quasi tutta l’acqua piovana scorre via.
I terreni permeabili non compattati, specialmente se alberati, assorbono porzioni consistenti della pioggia caduta, lasciandola lentamente infiltrare nella falda freatica, dalla quale nella stagione secca l’acqua per risalita capillare spesso riesce a raggiungere le radici degli alberi.
Per ottimizzare la funzione di regimazione idraulica delle aree verdi occorre massimizzare la permeabilità del suolo, anche dotando ogni esemplare arboreo di una aiuola di dimensioni proporzionate alla classe di grandezza, come disciplinato dai Comuni; troppo spesso le alberature stradali sono invece circondate dall’asfalto o da altre pavimentazioni poco permeabili, per massimizzare la superficie destinata al transito e alla sosta di veicoli.
Le alberature urbane influiscono sul clima locale in diversi modi, per esempio rallentando il vento impetuoso, soprattutto ombreggiando il suolo e abbassando la temperatura dell’aria direttamente con la traspirazione. Tanto maggiore è la superficie traspirante, tanto più si abbassa la temperatura dell’aria, purché non difetti l’approvvigionamento idrico radicale, altrimenti le foglie riducono la traspirazione fino ad appassire. Un indicatore internazionalmente accettato è LAI leaf area index.
Una ricerca commissionata dal Comune di Firenze evidenzia temperatura dell’aria in ambienti densamente alberati fino a 3°C inferiore rispetto a quelli non alberati contermini, con un minimo scarto nei torridi pomeriggi estivi, quando l’aria è molto calda un po’ ovunque (cfr fig.6). Le specie che traspirano di più sono quelle con foglie caduche larghe, mentre le aghifoglie, come i pini, e le sclerofille, come i lecci, traspirano meno e grazie a ciò sono più resistenti alla siccità.
La temperatura superficiale è cosa diversa rispetto a quella dell’aria, è una misura cui si ricorre molto frequentemente per la facilità di rilievo da satellite, ma risente della natura delle superfici, del loro colore (riflettanza) e dell’esposizione al sole; tra una superficie asfaltata in pieno sole e un bosco ombroso la temperatura superficiale misurata in un mattino estivo può differire di oltre dieci gradi. La vegetazione è dunque il mezzo privilegiato per combattere l’effetto isola di calore che si registra nelle aree urbane più estesamente coperte da costruzioni e da strade, specialmente dove gli edifici sono alti e compatti. Delle tre stazioni termometriche CFR site in parchi di Firenze, una è posizionata nell’isola di calore del centro città e registra una temperatura dell’aria lievemente superiore alle altre due, anche per il ricambio d’aria limitato dalle costruzioni che la circondano. La saturazione del tessuto urbano ostacola infatti anche l’ingresso in città di aria più fresca dalle aree rurali e riparie circostanti, consentito invece da spazi aperti opportunamente orientati.
Un Piano del Verde comunale successivo all’approvazione del Piano Operativo denuncia la sua residualità, rassegnandosi a sistemare auspicabilmente nel miglior modo possibile le (poche) aree lasciate libere dallo strumento urbanistico; una cultura amministrativa ambientalista rivendicherebbe invece spazi aperti strategici, anche a costo di rinunciare a interventi edilizi e infrastrutturali.
Quando sono in vegetazione, le piante svolgono la fotosintesi clorofilliana, con la quale si nutrono assorbendo anidride carbonica e acqua e restituendo ossigeno all’atmosfera. Il sequestro di carbonio è proporzionale alla superficie esposta alla luce e varia da specie a specie e con l’età delle piante legnose, raggiungendo la massima intensità di solito tra i 16 e i 50 anni, mentre la massa legnosa continua ad accrescersi fino a età avanzata, seppur più lentamente. Si osservi come formazioni vegetali spontanee relativamente giovani, come quelle che hanno colonizzato le aree Nucci a Novoli, sequestrino quantità importanti di carbonio. Nelle fredde giornate invernali, peraltro luminose per poche ore, anche i sempreverdi sono a riposo, risultando complessivamente più attive specie caducifoglie, pur svantaggiate dal dover rinnovare annualmente tutta la superficie fotosintetica, ma con grande superficie fogliare. Il ruolo delle alberature urbane, stradali e ornamentali, nel sequestro di carbonio a livello globale è tuttavia trascurabile, anche nella migliore delle ipotesi, per la modesta superficie occupata dalle città, non comparabile a quella dei terreni agricoli, pastorali e degli ecosistemi naturali, terrestri e acquatici. Nei climi temperati la maggior parte del carbonio assimilato dalla vegetazione è sequestrata nella sostanza organica del suolo, si osservino in questo senso gli umidi terreni agricoli a riposo adiacenti all’aeroporto. Le strategie più efficaci affinché le città contribuiscano a contrastare il cambiamento climatico sono dunque la riduzione delle emissioni climalteranti e la conservazione degli agroecosistemi (compresi quelli adibiti a verde pubblico) e delle aree boschive e palustri ancora presenti nei Comuni metropolitani e il loro incremento, compresi i relativi corridoi ecologici, evitando quanto più possibile trasformazioni urbane che comportino consumo di suolo.
Alcuni inquinanti atmosferici sono particolarmente concentrati nelle città, per effetto delle emissioni da parte delle attività produttive, degli edifici e del traffico veicolare. Le polveri sottili vengono trattenute soprattutto dalle foglie più ruvide o tomentose, rilevandosi differenze d’efficacia tra specie diverse. Nella progettazione del verde urbano è importante tenere conto della fonte inquinante. Se le polveri sono prodotte soprattutto dai veicoli circolanti (non solo dalla combustione, ma anche dai freni e dall’attrito tra pneumatici e asfalto) in trincee tra alte cortine edificate, è importante che l’aria circoli, perciò alberature con estese chiome compatte che occludono la sezione stradale sono controproducenti e vanno invece preferite piante a sviluppo prevalentemente verticale; le zone afflitte dall’inquinamento di fondo se ne difendono invece proprio con alberature con ampie chiome capaci d’intercettare le polveri. Gli arbusti nel sottobosco dei parchi e nelle siepi dei giardini contribuiscono notevolmente alla cattura delle polveri sottili, perciò va posta attenzione alla struttura verticale del verde pubblico.
Il biossido d’azoto è l’inquinante caratteristico del traffico veicolare a combustibili fossili. Esso reagisce con le foglie delle piante, aggredendole con composti acidi e fungendo da precursore dell’ozono, che affligge pesantemente la vegetazione soprattutto nelle ore più luminose della primavera-estate; l’ozono raggiunge le massime concentrazioni nelle aree verdi periurbane, dove l’ossigeno nativo prodotto dalla fotosintesi abbonda giungendovi anche trasportato dal vento dalla prossima città, infatti a Firenze si misura a Settignano.
Il biossido d’azoto affligge soprattutto viale Gramsci, in una misura annuale che ha comportato l’avvio di procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea; il contrasto a questo inquinante, molto nocivo per la salute umana, consiste essenzialmente nella riduzione del traffico veicolare a combustibili fossili; le specie vegetali hanno tolleranza diversificata all’inquinamento nitrico, le alberature stradali possono essere selezionate anche tenendo conto di questo, per esempio il platano è in grado di assorbirne; tuttavia, una volta convogliati al suolo dalla pioggia, i sali nitrici e nitrosi svolgono una funzione fertilizzante e rientrano nel ciclo biogeochimico dell’azoto.
Più complessa è l’interazione con i gas inquinanti dei composti volatili organici biogenici (B-VOCs) emessi dalle piante come escrezioni utili anche alla comunicazione interspecifica. Alcuni di questi composti sono particolarmente benefici alla salute umana, come le balsamiche resine delle conifere, al punto che furono piantate pinete intorno a stabilimenti di cura, come a Careggi e al sanatorio Banti. I monoterpeni, emessi in gran copia soprattutto da faggi e querce, costituiscono il fondamento chimico della terapia forestale, in aggiunta a quello psico-ambientale. Essi tuttavia reagiscono con gli inquinanti presenti nell’aria di città, interferendo con la genesi dell’ozono, potendone peggiorare la già carente salubrità. Speriamo che l’intervento di Stefano Dugheri a Vallombrosa il 31/08/24 chiarisca la questione, dissolvendo ogni sospetto che si tratti dello scontro tra due concezioni dell’aria pura, una chimica riduzionista (miscela di azoto, ossigeno, anidride carbonica e acqua) e una bio-salutista (aerosol di gas, ioni minerali, sostanze organiche ed esseri viventi). Anche in questo caso la soluzione desiderabile è contrastare gli inquinanti che reagiscono nocivamente, assicurando la salubrità dell’aria alla quale contribuiscono i composti volatili biogenici anche nei maggiori parchi urbani.
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Mentre pubblichiamo l’articolo di Paolo Degli Antoni, che chiarisce l’importanza delle alberature e del verde nei centri urbani veniamo a sapere che il comune di Firenze nel cuore della notte del 2 settembre, alle 2.30, ha tagliato altri pini di Viale Redi, senza neppure cartelli di avviso. Sui pini rimandiamo alla lettura di questo articolo https://www.perunaltracitta.org/homepage/2020/02/20/pini-e-pregiudizi/ (N.d.R)
Paolo Degli Antoni
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Alcuni sostengono che anche una dozzina di alberi è capace di migliorare localmente l’ambiente. Vicino a casa mia sono stati realizzati pocket garden, capaci di svolgere le funzioni elencate nell’articolo, per un totale di qualche decina di metri quadri, non riuscendo perciò a far scendere sotto l’80% l’indice di artificializzazione. Si tratta di interventi cosmetici, che prevedono anche fioriture colorate. Sulle panchine si siedono per pochi minuti i clienti degli esercizi commerciali frontisti, che somigliano a Ernesto Calindri in una pubblicità di mezzo secolo fa, circondato dal traffico
Sì, Antonio, in varie parti della città l’amministrazione se la cava con la cosmesi, mentre ci sarebbe bisogno di interventi di ben altro calibeo!
Grazie, Paolo, sempre preziosi i tuoi interventi. Nella zona in cui viviamo, il rione di San jacopino, la mancanza di verde è evidente; siamo la zona con minor verde della città secondo gli stessi dati del Comune. Siamo anche una zona dove sono dimostrati colpi di calore pari a quelli dell’Osmannoro. Eppure la cementificazione non si arresta. Dopo il “mostro” del viale Belfiore, lo Student Hotel, ora partono i lavori per “riempire l’ultimo vuoto”, come ebbe a dire Nardella, l’area delle ex OGR. La schiera di palazzi che si vedono nel rendering che illustra l’operazione di costruzione non permetteranno più l’espandersi dell’aria che dall’Arno giungeva a mitigare un pò almeno le prime zone adiacenti al parco delle Cascine.
In alcune zone del Nord Europa si abbattono strutture edilizie e pavimentazioni in cemento per far posto alla circolazione dell’aria e abbassare il caldo eccessivo, secondo le indicazione della stessa UE, a Firenze, in particolar modo in questo rione e tutta l’area che va verso Novoli e Castello, l’emergenza climatica si combatte col cemento. Come reagiranno gli abitanti del rione quando capiranno fino in fondo cosa sta succedendo?.