Riceviamo da una nostra lettrice e pubblichiamo.
Giovedì scorso non pensavo di poter assistere a due incontri così elevati e allo stesso tempo così rappresentativi in questo fragile e alquanto ballerino momento storico. Mi era arrivata una e-mail d’invito ad un incontro con un padre della chiesa che si teneva in uno dei più prestigiosi palazzi del centro, già sede storica di una nota banca: un atrio immenso mi conduce nel palazzo, che incanto, cammino lungo i corridoi attratta dalle luci che balenavano a destra, a sinistra, grandi stanze, grandi spazi e poi la grande sala, illuminata fino al soffitto e molta gente, in silenzio e attenta. Siamo al convegno.
Il noto padre, ha parlato per circa un’ora sul tema della speranza. Argomento “tosto”: ha ricorso alle frasi del pontefice che per l’anno santo si augura che “possa essere per tutti occasione per rianimare la speranza” e questa speranza è nelle mani di Dio, da cui possiamo partire e rianimare le nostre, quelle terrene. Quali? Intanto partiamo dalla costruzione della pace, operazione difficile in un mondo dove certi valori si stanno inesorabilmente spengendo, ma il tema che ha destato più attenzione e quello sui giovani, prede delle tecnologie informatiche, risucchiati dalle piattaforme social con l’aggiunta della loro completa apatia rispetto alla realtà che gli scorre davanti. Insomma, un disastro… ma il padre è un ottimo comunicatore, e accorgendosi di incorrere nella solita polemica, si riprende, abbassa i toni e ricorre ad una poesia di speranza che acquieta gli animi, specialmente di quelli presenti in sala.
Dopo la chiusa e l’applauso liberatorio, sono uscita dal maestoso palazzo e sono corsa al più antico palazzo del centro, dove si celebrava lo stesso tema ma con attori diversi: l’occasione era la presentazione di un libro dove si parla di “politica”: niente corridoi, niente aspettative, si entra nella sala e ci si deve sedere, stessa liturgia della precedente, presentazione, relatori, monologo dell’autore e uditorio attento ma più indisciplinato (cellulari suonanti e chiacchiericcio, odioso). Nel libro dell’autore (noto politico in ascesa e poi decaduto), non c’è solo rammarico ma “speranza” in una sinistra critica purtroppo battuta “dalla macchina economica del capitalismo” (io direi dal mondo della finanza), e dalla crisi del pensiero dialettico marxista. Ma il percorso della “speranza” perduta c’è, e qui ritrovo, come fosse la causa, lo stesso risentimento verso i giovani che si perdono e si isolano dalle cose concrete della vita per colpa delle piattaforme social.
Che dire, in uno dei momenti storici più critici e duri dell’ultimo secolo, entrambi i relatori, uno cattolico e uno comunista, propongono di parlare di “speranza”: uno parla di speranza come virtù teologale, speranza per la vita eterna… l’altro, il politico, urla la sua speranza in un desiderio di ripresa di una sinistra unita che non vivacchi ma “sogni in avanti” e i giovani? Entrambi li criticano per la loro tendenza a “non pensare più”, sono troppo assuefatti agli strumenti tecnologici…
È vero, li stiamo perdendo, ma allora chi potrebbe salvarli se non un prete, un maestro, o un politico che invece di salire sulla cattedra delle attività dello spirito potrebbe scendere e immergersi in quel mondo di speranze, fatto di giovani e giovanissimi e stare finalmente ad ascoltarli, mentre adesso sono abbandonati, come dicono loro, alle diavolerie del momento? Noi abbiamo dato il nostro esempio e possiamo aspettarci critiche, come loro se le aspettano da noi. Lasciamogli vivere il loro tempo senza fare nessuna valutazione ai cambiamenti in atto. È il solito dramma del passaggio di testimone da una generazione all’altra. Forse non c’è differenza tra le critiche ai giovani, tra cui quelle attribuite a Socrate (“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità”), e le nostre; ma anche egli diceva che era importante “l’esempio” che innescava nei giovani la forza per sviluppare un loro pensiero critico sulla “dimensione dell’essere”, che è luogo delle loro coscienze e soprattutto dove nasce l’energia vitale per il loro futuro.
Vediamo se l’incontro, l’impatto diretto, il brivido di uno sguardo soggiacerà al veicolo dei social che è più comodo e meno compromettente. Forse non tutti la pensano così e dobbiamo stanarli.
Scilla Cuccaro

Redazione

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