“Tutti credono di possedere i segreti di dio-scriveva Antonin Artaud– poveri coglioni ritardati come se dio fosse una cosa unica e stabile, idee vecchie.”*
Quel “tutti” oggi potrebbe essere riferito ai transumanisti, cioè a coloro che mirano ad una evoluzione della società tramite la neurotecnologia, per risolvere le «tragedie» della condizione umana, e assicurare una vita più lunga, senza sofferenza, addirittura senza morte, e un’intelligenza illimitata per aumentare le competenze, la produttività, e per contrastare i crescenti rischi esistenziali dell’intelligenza artificiale, che secondo loro emergerà come l’entità più potente del pianeta sganciandosi anche dal controllo umano.
Ma a quale modello di società si riferiscono? Quella nella mente di Elon Musk, il più noto fra i transumanisti, tribuno di Donald Trump e grande amico di Giorgia Meloni, nonché CEO di Tesla e SpaceX, non può essere che totalitaria e di destra estrema. Riservata quindi a pochi facoltosi eletti, che rincorrono il sogno della super razza e della immortalità con la crionica (dal greco kryos, freddo).
L’obiettivo di Neuralink, la società di Musk sarebbe quello di rendere gli umani iper umani, impiantando nel cranio un dispositivo BCI (brain-computer interface), grande come una monetina, che collega la mente ad un computer. Questo dispositivo è composto principalmente: da elettrodi del diametro di 1/20 di capello umano chiamati Thread che vengono innestati all’interno del cervello e registrano l’attività cerebrale e da il Link, cioè da un guscio contenente il chip che riceve gli impulsi elettrici dai thread, li trasforma in dati binari comprensibili a un computer e li invia ad un dispositivo esterno come un PC o uno smartphone. Il tutto alimentato con una batteria che dura tutta la giornata e si ricarica in modalità wireless. Ma non c’è solo Musk con Neuralink: Syncron è un’azienda che sembra più avanti, e si basa su un BCI senza aprire il cranio, tramite stentrode, cioè una specie di stent introdotto dalla giugulare e inserito in un vaso sanguigno che entra nel cervello.
In parte ne avevamo già parlato nell‘articolo Dual Use ma l’importanza dell’argomento richiede degli approfondimenti. Da una parte ci sono lodevoli conquiste, come la possibilità di curare le malattie neurodegenerative, di ridare mobilità a un tetraplegico, dall’altra si aprono inquietanti scenari che mettono in serio pericolo la libertà cognitiva di ciascuno, cioè “i diritti alla privacy mentale, all’autodeterminazione sul cervello e sulle esperienze mentali, alla libertà di pensiero, e ai rischi derivanti dalla trasformazione della società desiderata dai transumanisti”.
Il futuro è già qui. Mi sembra che non ci si renda conto che la trasformazione dell’umanità è già cominciata, ma la maggior parte della popolazione, non viene coinvolta nella discussione per stabilire se si tratti di un fenomeno positivo oppure no, scrive Nita Farahany, docente di Diritto, Filosofia e Bioetica, nel libro Difendere il nostro cervello: La libertà di pensiero nell’era delle neurotecnologie, da cui sono tratte le citazioni che qui riprendiamo.
“Quando Shoshana Zuboff elaborò il concetto di capitalismo della sorveglianza, i nostri dati personali erano già stati ampiamente mercificati e la possibilità di riprenderceli era in gran parte sfumata.”
Nel caso della neurotecnologia, non è ancora troppo tardi per proteggere la nostra mente da quello stesso destino. Ci troviamo a un bivio. La neurotecnologia potrebbe cambiarci la vita in meglio oppure portarci verso un futuro più distopico, dove il nostro cervello potrà essere monitorato con dispositivi indossabili di consumo (fasce, auricolari, orologi, bracciali, sciarpe..) oppure modificato con dispositivi impiantabili BCI. Questi dispositivi multifunzione, sono/saranno dotati anche del potenziale per accedere e decodificare i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre intenzioni. Saremmo così esposti al controllo e alla divulgazione dei nostri dati cerebrali/mentali, con tutte le conseguenze del caso:
“Come detto, esistono nuove tecnologie che raccolgono i nostri dati cerebrali per aiutarci a diventare più veloci ed efficienti, aumentare la nostra sicurezza e salute, ridurre lo stress e persino promuovere la spiritualità. Proprio come cediamo la nostra cronologia di navigazione in cambio di browser gratuiti, così avremo dei motivi per cui saremo disposti a condividere i dati cerebrali con quei dispositivi. Chiariamo una cosa: i dati in sé non sono i nostri pensieri ed emozioni. Ma ci sono potenti algoritmi di machine learning sempre più abili nel tradurre l’attività cerebrale in ciò che proviamo, vediamo, immaginiamo o pensiamo. Una volta scoperto che altri hanno accesso a ciò che pensiamo, proviamo o immaginiamo, potrebbe venirci la tentazione di censurare i nostri stessi pensieri, per paura di essere derisi o ostracizzati per il fatto di avere idee controcorrente. Peggio ancora, se i governi avessero il potere di monitorare il contenuto della nostra mente, potrebbero arrestarci e punirci per crimini soltanto pensati.”
E’ giunto il momento che tutti prendano parte al dibattito sulla valutazione continua dei rischi, sullo sviluppo etico della neurotecnologia, verso una indispensabile vigilanza e tutela democratica, verso una “alfabetizzazione scientifica ed etica della società, garantendo che i produttori delle tecnologie forniscano tutte le informazioni del caso in modo chiaro ed efficace”, in modo che le persone non diventino individui bersaglio TI (Target Individual) soggette a interventi che alterano i loro stati mentali senza consenso informato.
Abbiamo ancora la possibilità di scegliere prima che le aziende possano stroncare sul nascere la sindacalizzazione del personale, ai primi indizi di una crescente sincronia cerebrale tra i dipendenti, prima che il neuromarketing ci trasformi in robot dediti solo agli acquisti, prima che le MBS (military brain sciences) “ci trasformino in super-soldati in grado di controllare sciami di droni con la mente, di comunicare e caricare dati da cervello a cervello e individuare gli obiettivi con l’inconscio”.
Comunque sia il rischio di accesso non autorizzato alle informazioni cerebrali aumenterà, richiedendo una solida protezione dei dati biometrici neurali e cognitivi, e la definizione di linee guida etiche e quadri normativi che garantiscano lo sviluppo e l’uso responsabile delle neurotecnologie. Non facciamoci rubare il futuro. “Non abbiamo bisogno che qualcuno ci appiani la strada portandoci in un futuro che non abbiamo progettato. Quello non è futuro è solo e soltanto l’espressione del solito vizio del capitale, quello di assecondare l’algoritmo che massimizza il profitto per pochi, anche a scapito dei molti”, scriveva Gil Pierazzuoli nel bellissimo articolo Il capitalismo della sorveglianza.
*Artaud Antonin, Questo corpo è un uomo. Quaderni 1945-1948, Neri Pozza, 2024-pg.352, euro 28,50
Farahany Nita, Difendere il nostro cervello: La libertà di pensiero nell’era delle neurotecnologie, Bollati Boringhieri, 2024, pg. 288, euro 27

Gian Luca Garetti

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