Il capitale nell’Antropocene

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Per un’ecologia anticapitalista è il sottotitolo di un nostro ebook intitolato La salute disuguale, che vede nel capitalismo il principale responsabile delle disuguaglianze socio economiche e della  crisi climatica-ambientale, di cui i meno abbienti ed il Sud Globale del mondo stanno già subendo le devastanti conseguenze. Non saranno certo il tecno-utopismo alla Trump, il Green New Deal, il cosiddetto capitalismo verde, l’ecologismo di facciata delle aziende, la cosiddetta transizione ecologica come è stata portata avanti fino ad ora o i piccoli gesti quotidiani dei singoli a invertire questa deriva: il capitalismo non potrà mai risolvere la crisi climatica.

Karl Marx parlava di rivoluzione ecologica già centocinquanta anni fa, ma nessuno se ne è accorto, “nemmeno Engels, il compagno di una vita, era mai arrivato ad intuire. E ciò ha portato ad un fraintendimento della visione storica marxiana come progresso lineare, che ha finito per definire un paradigma del pensiero di sinistra fondato sulla supremazia della produzione. Per questo, anche a centocinquant’anni dalla pubblicazione del primo volume del capitale, il marxismo non è ancora mai riuscito ad individuare nella crisi ambientale la contraddizione massima del capitalismo, contraddizione giunta, nel corso dell’Antropocene, alla gravità che conosciamo”, scrive il giovane filosofo marxista giapponese Saitō Kōhei, nel libro Il capitale nell’Antropocene, di cui in corsivo riportiamo alcuni pezzi. Questo testo è basato su scritti, in gran parte inediti del tardo Marx, pubblicati nei cento volumi della nuova edizione completa di opere di Marx e Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA).

A questo proposito, Marcello Musto, professore associato di Sociologia teorica presso la York University di Toronto, scrive nel libro L’ultimo Marx: 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale: “Grazie alle nuove acquisizioni testuali della MEGA, si può affermare che, tra i classici del pensiero politico e filosofico, Marx è l’autore il cui profilo è maggiormente mutato nel corso degli ultimi anni. Lo scenario politico, seguito all’implosione dell’Unione Sovietica, ha contribuito a liberare la figura di Marx dal simbolo di baluardo dell’apparato statale conferitogli dai bolscevichi russi.”

A pagina 158 del libro di Saitō, la figura 8 ben evidenzia i passaggi fondamentali del pensiero di Marx negli ultimi tre decenni della sua vita. Dal 1840 al 1850, per il filosofo tedesco, l’obiettivo principale consisteva nel Primato della Produzione, vedi il “Manifesto del Partito comunista”. Nel decennio successivo, che va dal 1860 al 1870, l’obiettivo principale per Marx era rappresentato dall’Ecosocialismo, vedi il “Primo libro del Capitale”. Ma, scrive Saitō, in quel “socialismo ecologico”, persiste pesante il retaggio neoliberista del primato della produzione, anche a prezzo del sacrificio del singolo, nella convinzione che a una maggiore produttività corrispondesse una maggiore ricchezza, propedeutica alla liberazione della classe operaia. Gli anni che vanno dal 1870 al 1880 per Marx sono contrassegnati da dolori familiari e da malattie (morì nel 1883), ma anche da importanti studi multidisciplinari, e da scritti come Critica al programma di Gotha e Lettera a Zasulič, che aprono a teorizzazioni rilevanti anche per il tempo presente e a obiettivi che Saitō chiama “comunismo della decrescita” ,un nuovo modo di vivere, caratterizzato da principi comunitari di uguaglianza, dalla creazione di beni comuni al posto di beni privati, da sostenibilità, e da un’economia stazionaria.

Oggi tutto è privato, tutto è bene di consumo e c’è l’idea che l’economia debba costantemente crescere, e la crescita economica è il Santo Graal dei governi della maggior parte dei paesi. Non rimane che “cambiare il nostro stile di vita e scoprire una nuova abbondanza all’interno di esso, invece di scommettere sulle possibilità di sviluppo esponenziale della tecnologia. Dobbiamo smettere di associare abbondanza a crescita economica e iniziare a considerare seriamente l’accoppiata decrescita e abbondanza”. Decrescita e marxismo, ambientalismo e comunismo fino ad ora sono stati come l’acqua e l’olio: la presunta incompatibilità fra verde e rosso è stata una delle ragioni dell’involuzione del marxismo e dei partiti di sinistra o sedicenti tali negli ultimi anni.

La sostenibilità è indispensabile per la prosperità delle generazioni future. “E perché vi sia sostenibilità  è necessario che le generazioni di oggi conducano le loro vite entro dei limiti prestabiliti”. Vedi il concetto di “tetto limite dell’ambiente”, e i cosiddetti “planetary boundaries (limiti planetari).

Un altro punto essenziale del tardo-marxismo è la democratizzazione del processo produttivo, che comporta come inevitabile conseguenza la decelerazione dell’economia. “Per ‘democratizzazione del processo produttivo’ si intende una gestione condivisa dei mezzi di produzione tramite l’associazione. […] Il comunismo della decrescita mira a sviluppare nuove tecnologie aperte, rispettose dei lavoratori e dell’ambiente, e da considerare patrimonio comune”. Il pensiero va alla GKN.

A proposito di decrescita, Saitō precisa che a causa del ruolo dell’imperialismo nel trasferire sistematicamente i costi ecologici al Sud del mondo, la crescita economica deve diminuire drasticamente nei paesi più ricchi, mentre deve continuare a crescere nel Sud del mondo. Ma questo non significa che la gente comune nei paesi ricchi debba subire un brusco calo della qualità della vita. Saitō sostiene che solo liberandoci dal «dispotismo del capitale» otterremo la libertà di scegliere cosa produrre collettivamente e come farlo. Ristrutturando radicalmente l’economia per dare priorità ai bisogni sociali e alla sostenibilità ecologica è possibile migliorare la vita della maggioranza delle persone anche riducendo la produzione. Tanto per fare un esempio, il comunismo della decrescita accorcerebbe radicalmente la settimana lavorativa, liberando la creatività umana, la socialità e la solidarietà sociale. Per spiegarlo, Saitō  osserva che nel corso del XX e del XXI secolo il rapido cambiamento tecnologico ha portato a un aumento della produttività. Eppure, le ore di lavoro non sono diminuite, sempre perché il capitalismo richiede una crescita costante.

Saitō sostiene che ci sono altre buone ragioni per rimodellare radicalmente l’economia di una società post-capitalistica. A partire dal fatto che, con il capitalismo, un numero sempre maggiore di persone è costretto a svolgere «lavori di merda» precari, un termine che Saitō ha preso a prestito dal defunto antropologo e attivista anarchico David Graeber. Ne sono un esempio gli addetti al telemarketing, i controllori dei parcheggi e dei trasporti pubblici e la maggior parte dei quadri intermedi etc etc. Oltre a essere privi di significato, perché fonte di sprechi, questi lavori contribuiscono alla distruzione dell’ambiente, approfondiscono le disuguaglianze e peggiorano la nostra salute mentale e la qualità della vita.

Questi sono solo alcuni fra i tanti interessanti spunti del libro di Saitō, il problema è che il comunismo della decrescita è un futuro molto difficile da costruire. Proviamoci!

Saitō Kohei, Il capitale nell’Antropocene, Einaudi, Torino, 2024- pg.297, euro 19

Marcello Musto, L’ultimo Marx: 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale, Donzelli, Roma 2023

 

 

 

 

 

 

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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