In Eva futura di Villiers de l’Isle Adam[i], Lord Ewald, nobile raffinato e sensibile, si innamora di una donna perfetta nell’aspetto ma irrimediabilmente mediocre. Il celebre scienziato Thomas Alva Edison, seppure ancora vivente all’uscita del romanzo, è qui co-protagonista letterario descritto come un genio creatore e stregone, decide di aiutare il giovane disperato e pronto al suicidio per rendergli il favore di esser stato a sua volta economicamente aiutato dal lord in passato, e aver potuto così condurre i suoi esperimenti di importanza umanitaria e per il progresso umano. Edison realizzerà per lord Ewald un androide, una replica della sua amata (Alicia Clary) indistinguibile da essa fisicamente, in cui infondere l’intelligenza e una essenza spirituale (Hadaly[ii]) per arrivare a creare la donna ideale da sostituire a quella imperfetta e reale.
La parvenza umana al tatto ed alla vista, è perfetta, così perfetta che Ewald trasalisce al contatto. Ma non è carne, la copia non è fatta della stessa materia anche se non è possibile esperire tramite i sensi la differenza. «È qualcosa di meglio» dice Edison. «La carne appassisce e invecchia», ma questa copia «seppellirà l’originale e non cesserà mai di apparire viva e giovane». Siamo di fronte ad un’Andreide[iii]. Un’Andreide che finalmente rende il senso della potenza umana che non è più costretta a «chinare il capo dinanzi al dio Caos» che si suppone creatore, con qualcosa «capace di stupire gli angeli». Lo sviluppo della scienza permette un ricalco che coincide con l’identità. Identità che, nei dizionari, è coincidenza di elementi, assoluta uguaglianza, ma anche complesso di caratteri che distinguono una persona o una cosa da tutte le altre e che dà la consapevolezza di sé come individuo.
La creazione è oltre l’artigianalità seppur perfetta, l’artigiano produce semplici cose che lui abbandona all’incertezza, perché soltanto «l’uso che si fa di una data cosa la ribattezza e la trasfigura».
Ci si pone poi, un altro interrogativo di fronte all’Andreide: avrà la creatura coscienza di sé? Qui lo scienziato, il nostro Edison, ci spiazza per la sua sagacia. La coscienza di sé, l’anima posseduta dalle cose, non è un attributo in sé, ma la proiezione e, in particolare, quella del desiderio di chi ci si rapporta. Il desiderio di lei crea una percezione che continuamente si sforza di adattare lo spirito alla materia secondo il disegno che il desiderio stesso ha creato. Il desiderio deve poi anche esprimere una preferenza, la pulsione affettiva ha a che fare con il piacere di essere preferito, perché l’affetto, se fosse puro, impedirebbe di non poter confrontare l’oggetto del desiderio con gli altri, non si esprimerebbe più in una preferenza. Sia Adaly che Alicia sono dunque illusioni, ombre. La dimensione e il grado ontologico, l’appartenenza alla specie, ma anche la specificità del singolo si possono determinare soltanto nello sguardo dell’altro. Nello sguardo del cane di Lévinas l’unico a riconoscere l’uomo nell’ebreo del settore 1492 del campo, come in quello di Argo che riconosce Ulisse nel vecchio mendicante che gli sta di fronte, come anche in quello di Dark il levriero nero che riconoscerà Alicia nel richiamo che Adaly gli rivolgerà. Si tratta di sguardi, di fiuti, di esplorazioni conoscitive che regolano l’ordinamento dei valori identitari. L’Andreide, la copia, in realtà differisce: la somiglianza è voluta dal punto di vista fisico, dell’hardware, ma è volutamente non corrispondente dal lato spirituale, dal punto di vista del software. Occorre un software adattivo alla proiezione del desiderio che Ewald esprime nei confronti dell’originale. In questo senso lo spirito percepito nell’ascolto e nella visione di Alicia è quello stesso che è caricato in Adaly, soltanto che quest’ultimo è come ottimizzato.
Nel gioco possibile di un’anatomia fantastica – di una fisiologia che cerchi gli organi responsabili di questa genealogia che si fa carne – le idee, nel bene e nel male, regnano sugli appetiti e sovrastano le emanazioni del cuore medesimo. Un software maligno percorre il corpo del vivente creando conflitti con il sistema operativo e con il bios preposto all’accensione. Il corpo puro, originario e vivido non riesce a mascherare l’ombra dell’anima che quel corpo accompagna: «egli è compenetrato in modo indelebile da quell’ombra dell’anima inevitabilmente posseduta insieme con il corpo. Illusione la sua, se spera di poterla escludere dal possesso, quando l’idea di essa disturba il suo piacere.» Oltre la realtà, allora, Ewald accetta di vivere in un miraggio. Ma realtà e miraggio fanno di tutto per apparire l’uno con le sembianze dell’altro.
Chi è l’altro/a? La proiezione di un capriccio, ora gaia e volubile, ora seria e compita. Basta premere un tasto (posare un dito su una delle pietre che adornano l’androide) e si avrà a disposizione una delle tante donne che Hadaly può recitare o meglio ancora incarnare: «Ho tante donne in me quante nessun harem potrebbe contenere.» C’è una possibilità di essere che è in nuce anche nell’artificio; pur essendo frutto della proiezione del desiderio (dell’immaginario dice Villiers de l’Isle Adam) dell’altro, l’essenza dell’Andreide reclama una sua indipendenza: «Non preferisci che io sia? Allora non ragionare sul mio essere: subiscilo deliziosamente.» L’Eva Futura avrà anche un’anima futura che già contiene «tesori di vertigini, di malinconia e di speranze» tutte nascoste nella sua «impersonalità.», con essa sarà allora possibile esperimentare la seduzione dell’amore di «cui palpitano gli angeli», seduzioni più attraenti anche di quelle dei sensi terrestri nei quali, occorre ricordare, si può nascondere «l’antica Circe.»
L’unica difficoltà rimasta, ma tecnicamente superabile, è quella di poter mettere insieme degli algoritmi che facciano dell’automa un interlocutore non soltanto credibile, ma anche amabile: «cerchiamo di ottenere dalla Scienza un’equazione dell’Amore», dichiara Edison. Tutto questo, compresa l’esistenza dell’Andreide stessa, che non è altro che un concatenamento che sembrerebbe quindi limitare e mettere in dubbio le possibili libertà, se non il libero arbitrio. Ma non ci sono di queste libertà a disposizione, perché l’unica libertà veramente concessa è quella degli Angeli dell’antica leggenda «poiché [essi] si sono finalmente liberati dalla tentazione». La tentazione che svolge l’azione del tentare che ha il senso di esplorare tastando, ma anche di provocare, istigare. Che ha valore di pulsione, anche di proiezione del desiderio, di voglia ed appetito. Di nuovo la possibilità che il desiderio, anche quello di essere desiderato, plasmi lo sguardo e la visione stessa. Scrivere il software dell’Andreide è atto di fatto simile al rapportarsi all’altro, cogliere così, nel suo aspetto (nella sua visione, nel suo apparire) il rispecchiamento di sé. Occorre mettergli le parole in bocca, comunque è questo che almeno ci si aspetta e lo speriamo anche nei rapporti tra i viventi (i mortali). Sempre mi aspetto che l’altro possa dire, che dica, proprio questo. E la mancanza di corrispondenza non è percepire l’altro, è soltanto una delusione. L’automa risponderà con la parola attesa. Ma non è una parola ovvia, al limite sarà una parola scontata[iv], ma nel senso etimologico del termine, perché la relazione, il dare credito all’altro, ad un comunque altro che non è lo stesso da te, è una forma di debito che occorre scontare e che non è possibile estinguere. Ma Ewald vorrebbe che ci fosse sincerità nello scambio e dunque nel rapporto. Ma la sincerità è anch’essa un’illusione, rimanderebbe infatti ad un concetto di verità immanente, che esiste originariamente mentre le nostre conoscenze, a cominciare dalla conoscenza di sé, sono soltanto relative. Non c’è nessuna verità a monte; non c’è nessuna verità della quale essere sinceramente testimoni. L’unica verità è l’eterno gioco della dissimulazione che impedisce anche agli amanti di «vedersi veramente come sono». «Sono attaccati al fantasma che, l’uno rispetto all’altro, hanno concepito in se stessi questi eterni estranei».
A questo punto, quello che ci interessa non è il rango di appartenenza da attribuire alle varie specie (macchine, animali e uomini) quanto la misura dell’inganno che la relazione con l’altro, anche se di specie diversa, fa emergere. Alla fin fine sarebbe tutta una questione di responsabilità[v] a permettere di formulare i termini che fondano la frontiera tra i vari enti. Con l’attenzione o la sottolineatura che occorre rimarcare sull’affidabilità della reazione umana intesa come pura responsabilità. Quel che è certo è che se la macchina ha intuitivamente meno capacità di essere responsabile e quindi di essere cosciente di sé, il rapporto con essa, con la macchina simulante, programmata per correlazione, risentirà poco della sua appartenenza specifica. La sua capacita illusoria (in_lusio, in gioco[vi], il suo essere dunque anche giocattolo) sarà giustamente premiata. La vera fantasia è quella di pretendere in qualunque soggetto la piena consapevolezza di sé e che anche gli organi che compongono la macchina (l’illusione) debbano avere una qualche consapevolezza «della propria coesione», quasi come se la coesione stessa rivelasse un’univoca possibilità di essere. E se la consapevolezza intesa come «qualità riflessiva, che consente ad un soggetto di valutare i propri comportamenti e quelli di altri soggetti alla luce di predefiniti principi e codici»[vii], ma anche una consapevolezza derivata «dall’adozione, soggettiva o socialmente indotta, esplicita o inconscia, di un sistema di valori giudicato positivamente»[viii], questi tipi di consapevolezza, appunto, sono certamente implementabili negli artifici umani.
Con Hadaly o con qualsiasi nome si chiami ogni Eva Futura, si apre la possibilità di pensare a personaggi (persone anche non biologiche), naturalmente indistinti/e, relazionalmente vivi/e.
Klara e il sole di Kazuo Ishiguro
Eva futura è la realizzazione scarna di due proiezioni, il progressismo illuminista e la subordinazione femminile, ma anche del sogno maschile del “come ti mi vuoi”, dove però il rapporto umani-macchine vacilla ontologicamente ed esistenzialmente. È una storia ambientata nel suo tempo con elementi fantastici (L’Ève future è del 1886). “Klara e il sole” è anch’essa una storia d’oggi che ci pone domande sui futuri possibili. Futuri con umani potenziati geneticamente e con macchine sulle quali si è scaricato parte del lavoro della cura. Klara, la voce narrante, è un androide femmina programmato per l’assistenza adolescenziale, un amico artificiale che, pur essendo una produzione seriale, ha dei caratteri peculiari, quello di Klara è di avere un’empatia molto sviluppata che condiziona il suo comportamento e guida il suo apprendimento. Gli androidi infatti continuano a imparare per riuscire ad adattarsi il più possibile all’adolescente umano che lo acquisterà.
Oltre a essere voce narrante, Klara ci fa guardare il mondo con i suoi occhi. Ma non è lo sguardo di una telecamera settata sui parametri della percezione umana, è una visione a riquadri, gli stessi di quei particolari captcha dove bisogna individuare un oggetto in una immagine selezionando i riquadri occupati da quell’oggetto per dimostrare di essere un umano e non un robot. Captcha che spesso vengono usati proprio per addestrare le macchine a questo riconoscimento (vedi le implementazioni successive di quello che viene chiamato reCaptcha). Allora un robot addestrato a riconoscere oggetti in una serie di riquadri avrà “presumibilmente” (indipendentemente dalla programmazione umana) una tendenza a suddividere la realtà in tanti riquadri abitati o meno da una qualche specie di oggetto/soggetto.
Ecco poi il robot che oggettivizza ogni visione non essendo capace di fare congetture sul perché di quella visione, in maniera tale che quando il sole scompare dietro un fienile, per Klara è proprio dietro a quel fienile che il sole tramonta. Se poi i raggi del sole ricaricano la sua batteria e se, dopo che si è rabbuiato al passaggio di un macchina asfaltatrice che fuma dallo scarico, provocando l’immobilità apparentemente mortale di un mendicante, che invece si rià nel momento che il sole risplende nuovamente, allora la macchina può giustamente dedurre che il sole abbia come un potere di rigenerare e rivivificare le persone e le cose.
Perché Klara già dalla vetrina del negozio osserva l’umanità e i suoi comportamenti cercando di farsi un’idea personale di quello che vede, dei rapporti di causa effetto degli eventi, del valore dei sentimenti che guidano il comportamento umano. Gli altri personaggi del racconto sono Josie, l’adolescente che l’acquista, i cui genitori sono separati (Josie vive con la madre), la cameriera e il ragazzo che abita nella casa accanto che, al contrario degli altri amici di Josie è un ragazzo promettente anche se non “potenziato”. Klara è ad alimentazione solare, assegna quindi al sole una capacità rigenerante che, nella sua interpretazione – anche in seguito a un episodio da lei osservato nella piazza antistante al negozio – sfocia in qualcosa di più, qualcosa di rivitalizzante, quasi avesse una capacità taumaturgica di guarire gli umani. Il romanzo si svolge in un futuro vicino e probabile dove i problemi sono quelli che già da adesso si possono intravedere intorno agli sviluppi della tecnoscienza attuale. Quello dell’inquinamento, quello delle “discriminazioni raziali” (divisioni tra potenziati e non) provocate dalla manipolazione genetica che introduce artificialmente differenze raziali, dando fondamento scientifico al concetto di razza e quelli che gli umani si portano dietro dal passato traghettandoli in un futuro dove le macchine dialogano con loro. C’è allora la connessione tra la macchina inquinante e il problema ambientale che sfocia nel sabotaggio della macchina cattiva da parte di quella buona. Quella che assomiglia di più agli umani e come gli umani (pochi), è disposta al sacrificio. Non per obbedire a una delle tre leggi della robotica, ma in seguito a una sua scelta a partire dalla sua esperienza maturata nella sua breve esistenza che appare allora come più che umana. Qui il bagaglio sensibile dell’autore fa compiere ai personaggi, androidi compresi, quelle azioni e quelle riflessioni che segnano il suo ventaglio espressivo in linea con tutta la sua produzione precedente e in particolare con quella di “Non lasciarmi”.
Josie posa per un “ritratto” che non è del tipo che ci si aspetta (nemmeno lei), è invece la trasposizione della sua immagine ed indole da poter trasferire in Klara per poterla sostituire.
Ma cosa c’entra “Eva futura” con “Klara e il sole” e con i cloni umani di “Non Lasciarmi”? C’è l’altro costruito dall’uomo e i rapporti che ne scaturiscono. E ci sono gli interrogativi che i potenziali della tecnologia contemporanea suscitano, al di là dell’esito “romanzesco” che ne dà Ishiguro. E qui viene fuori la questione dell’artefatto come sostituto dell’umano. Gli organi sani dell’artefatto (i cloni) per sostituire quelli malati degli umani, in “Non lasciarmi”, l’androide femmina che sostituisce la fidanzata in “Eva futura” e Klara che può mettere a frutto le sue capacità empatiche e la sua capacità di osservazione, per sostituire Josie nel caso probabile – viste le sue precarie condizioni di salute – della sua morte.
Dentro questi tre romanzi è contenuta un’ampia parte delle problematiche e delle discussioni che la tecnologia pone agli umani del terzo millennio. Dall’upload della mente proposto da alcune correnti del transumanesimo, alla collaborazione/conflitto tra umani e artefatti. Dalla ibridazione tecnologica che mette in discussione il monopolio umano delle agency, alla distruzione della specie che sperimentazioni ardite sul genoma potrebbero produrre.
Che sia la femmina plasmata dalla costola maschile di “Eva futura”, oppure la figlia da sostituire di “Klara e il sole” o gli organi da estrarre per le riparazioni di “altri” umani di “Non lasciarmi”, permane l’idea prometeica di una natura a disposizione, in questo caso per esercitare sogni di salto di specie, con le cose come punto di appoggio, per far fare a una umanità mortale quel passo che l’avvicina agli dei immortali. Ma non è Ishiguro a fare questo sogno. Ishiguru ce lo mostra sullo sfondo, poi i suoi personaggi, umani, macchine e cloni, trovano soluzioni non tanto all’esito della storia, del romanzo, ma che mettono in campo quel qualcosa di più che umano, che è bene salvaguardare e, senza il quale, una nostra estinzione non sarebbe, anche per noi, niente di grave.
[i] Appena ripubblicato da Marsilio. Cfr. Gilberto Pierazzuoli, Gioco, giocattoli, robot e macchine umane, Robin Edizioni, Torino 2016
[ii] Hadaly, scritto in lettere iraniche, significa IDEALE.
[iii] Andreide con l’a maiuscola come viene scritta dall’autore. Andreide e quindi androide è la prima attestazione del termine.
[iv] Scontare dal lat. EX fuori di e COMP’TARE sincope di COMPUTARE calcolare: prop. pagare una somma in diminuzione o estinzione di un debito.
[v] «Ho delle riserve solo sulla purezza, il rigore e l’indivisibilità della frontiera che separa, anche presso di “noi-gli-uomini”, la reazione dalla risposta; e di conseguenza la purezza, il rigore, l’indivisibilità soprattutto del concetto di responsabilità che ne deriva.» J. Derrida, L’animale che dunque sono, Jaca Book, Milano 2006, pag. 181.
[vi] (illusio, in-lusio) da illudere (in-ludere, in gioco, appunto)
[vii] Antonio Marazzi, Uomini, cyborg e robot umanoidi, Antropologia dell’uomo artificiale, Carocci editore, 2012, pag. 89.
Villiers De L’Isle Adam, Eva futura, Marsilio, Venezia 2021, pp. 392, € 20.00
Kazuo Ishiguro. Klara e il Sole, Einaudi, Torino 2021. pp. 250, € 19.50
Gilberto Pierazzuoli
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