Quando i mezzi diventano fini

In ogni campo il rapporto mezzi-fini a cui ci avevano abituato si è rovesciato sotto i nostri occhi, ma in nessuno è stato così rapido e definitivo come in quello dei “mezzi” per antonomasia, i mezzi di trasporto.

“Prendere un mezzo” vuol dire oggi “servire a uno scopo”. Lo scopo è quello di far aumentare i mezzi e le infrastrutture: auto e cavalcavia, treni e binari, bus e parcheggi, tram e tramvie, aerei e aeroporti. Infrastrutture che non sono più collegamenti o supporti ma che sono diventate fini a se stesse, come mezzo di arricchimento di chi le costruisce e le prende in gestione.

70Si fa la Tav e non sappiamo ancora se ci viaggeranno merci o passeggeri; si rifa la pista dell’aeroporto più pazzo del mondo e non sappiamo ancora se le compagnie aeree vorranno servirsene. E’ fin troppo facile elencare esempi di questa tendenza, quello che qui auspichiamo è un suo superamento. Cerchiamo dunque casi in cui il rapporto mezzi-fini con i mezzi di trasporto soggetto e le persone trasportate oggetto si rovescia da sé in qualcosa di più desiderabile e lungimirante.

Il primo pensiero va alla bicicletta, e anche l’ultimo se mentre si pensa si guida contromano rasentando un muraglione in stile berlinese che il mio sindaco ha piazzato sopra la pista ciclabile più utile della mia città, tra radici che erompono dall’asfalto e muratori che vogliono passare.

La bicicletta in quanto tale sembra sottrarsi alla speculazione economica e politica che si fa in questi anni sui mezzi: essa, ricordava Ivan Illic, nasce come prodotto industriale insieme all’auto ma da allora sostanzialmente non è cambiata.

Sotto di lei e tutto intorno si sono però allungate le piste ciclabili, fiore all’occhiello di giunte di speculatori. Una volta gli strozzini costruivano cattedrali, ora pagano le ciclabili. Come si diceva, si tratta spesso di tracciati puramente decorativi, interrotti nei punti nevralgici da assi e cantieri, fossati, ruspe, transenne e materiali di riporto.

La geometria variabile del percorso a ostacoli disorienta i ciclisti, li scoraggia e alla fine seleziona i peggiori, gli ostinati e i furbi. Quali biciclette si salvano dalla città? Quelle da montagna, le molleggiate, le superveloci? Quelle con i freni olandesi, quelle con il cambio giapponese, quelle con le ruote marziane?

No, le pieghevoli. Brutte, bruttissime, oltretutto ricordano un infame strumento di guerra, la bicicletta del bersagliere. Ma facili da alternare con gli altri mezzi, autobus automobili treni tram piedi, anticipando il sogno che molti di noi vorrebbero veder realizzato in questa vita: salire e scendere dolcemente da diversi mezzi senza dover subire vessazioni e lunghe attese.

Perché il Comune non ce ne assegna una a testa? Comperandone direttamente dalla fabbrica un quantitativo ingente si spenderebbero pochi euro per ogni bicicletta, un supermercato le vendeva a 150, che moltiplicati per il piccolo numero di abitanti di una città come la mia fa…niente rispetto al costo finale di una grande opera.

*Massimo De Micco