Porto di Livorno: la visione “ambientale” del sindaco (7)

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Il sindaco di Livorno ha avuto una visione!
Durante il sopralluogo al futuro cantiere della Darsena Europa (peraltro tuttora in attesa della Valutazione di Impatto Ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente) ha visto entrare in porto una grande nave della compagnia MSC, colosso della logistica e delle crociere, “tra i dieci principali emettitori di anidride carbonica del continente”.
E l’ha preso come un segno di predestinazione, “profetico” addirittura, come ha dichiarato sulla sua pagina facebook.
Proprio in quelle ore, infatti, veniva a compimento l’acquisto da parte del colosso dei traffici marittimi del 100% della Darsena Toscana, la piattaforma portuale attualmente esistente.

Cosicché poco dopo, sui giornali, il primo cittadino ha ritenuto di potersi sbilanciare affermando che “il grande gruppo guidato da Gianluigi Aponte, che rappresenta la seconda realtà a livello mondiale nei traffici marittimi, ha scelto Livorno per costruire il proprio futuro”. Forse i livornesi che respirano già tonnellate di fumi portuali ogni anno si augurano che questo auspicio del loro primo cittadino non si realizzi.
Non sarebbe la prima volta, in materia navale. Tre anni fa, infatti, il sindaco profetizzò che Livorno sarebbe diventata la “capofila delle tematiche ambientali legate al porto, rappresentando un modello di tutela della salute del cittadino”.
Erano i tempi del primo “Blue Agreement (una specie di Gentlemen Agreement in salsa salmastra, fra armatori e istituzioni locali) che in realtà arrivò anche a Livorno dopo altri protocolli analoghi, ispirati all’idea di adottare misure volontarie di “buona pratica marinaresca”. Impegni cioè che se poi non vengono mantenuti non producono alcun effetto sanzionatorio essendo, per l’appunto, volontari, tanto il fumo in più finisce nei polmoni degli abitanti e dei lavoratori portuali, mica degli armatori.
Perché si sa, le navi attraccate devono tenere i motori ausiliari accesi per produrre l’elettricità necessaria ai servizi di bordo. Servizi inevitabili, come l’alimentazione delle celle frigorifere delle navi portacontainer (la principale fonte di emissioni secondo l’Autorità Portuale) o magari un po’ meno, come quelli che restano a disposizione dei crocieristi anche durante la sosta: discoteche, cinema, ristoranti, palestre, tutto ciò che serva a dilettare i turisti più pigri (secondo IRPET, a Livorno il 23% dei passeggeri resta a bordo) impiegando l’elettricità prodotta dai generatori a danno della salute dei residenti.

Insomma, le navi agli ormeggi sono un po’ come squali: se spengono il motore muoiono.
Parliamo di navi ormeggiate a poche decine di metri dalle vie di transito cittadine, dove vigono regole più attente. È come se galleggiassero in un’altra dimensione, al di là di un confine invisibile che la banchina traccia a due passi dalle case. Lì dove vige la legge del Far West, quella del più forte, dettata dagli armatori e subìta dalle autorità.
Del resto, è in questo scenario di norme centinaia di volte più blande, se non addirittura fuori legge, che si muove l’industria navale, definita dall’Organizzazione Ambientalista Transport & Environment come una delle “più oscure, corrotte e profittevoli del pianeta”.
In questo contesto, è doppiamente inquietante ricordare che, sempre secondo Transport & Environment, Livorno è l’ottavo porto crocieristico più inquinato d’Europa.

In primo luogo, per la situazione drammatica che i livornesi stanno già vivendo a causa delle emissioni portuali: 5 volte gli ossidi di azoto, 4 volte il particolato 2,5 rispetto agli 87.000 veicoli stradali.
In secondo luogo, perché viene inevitabilmente da pensare che in una realtà meno attenta a promuovere vincoli, beh, qualcuno potrebbe trovare più conveniente investire.
Esistono strumenti amministrativi che le autorità locali possono adottare per limitare le sorgenti nocive, come ad esempio le ordinanze sindacali contingibili e urgenti, che potrebbero ridurre il traffico navale a causa dei suoi impatti sulla popolazione.
Non sembra che a Livorno si voglia seguire questo approccio.
Come se nulla fosse (oppure fidando nell’assuefazione di chi ormai ne ha subite troppe) si preferisce gioire immaginando nuovi traffici portuali, inevitabilmente portatori di nuovi fumi e nuovi danni alla salute.
Senza banchine elettrificate (né navi predisposte ad utilizzarle) e sulla base di accordi volontari inconsistenti, si plaude all’arrivo di uno dei massimi operatori mondiali, probabilmente intenzionato a fare di Livorno il proprio “home port”, con gli impatti atmosferici che possiamo immaginare.

E si attende con ansia la riapertura della stagione crocieristica, quella in cui Livorno tornerà ad essere attraversata da orde di turisti diretti a Pisa e a Firenze, lasciando due spiccioli ai negozianti locali e a tutti quanti la scia rossastra e persistente che si diffonde dai camini.
Poco fuori dal porto, è notizia di questi giorni, altre 122 navi si aggiungeranno al traffico già presente intorno al rigassificatore GNL, che diventerà una sorta di distributore galleggiante, con ulteriori vai e vieni di scafi e di fumi.

E soprattutto si è reso noto che si sta mettendo mano al mostro spaventoso della Darsena Europa, destinata probabilmente a stravolgere il profilo costiero e gli habitat di zone protette (secche della Meloria, Parco di San Rossore) o largamente frequentate. Si parla ad esempio di un “sabbiodotto”, ossia un tubone di più di due chilometri progettato per portare la rena dello Scolmatore sui lidi di Tirrenia e dintorni e compensare l’erosione della costa.
Così i bambini livornesi e pisani faranno i castelli di sabbia con ciò che il corso d’acqua ha racimolato lungo il suo percorso, attraverso una delle zone più inquinate della Toscana. Un’altra terra di nessuno sul confine fra le due province, lasciata colpevolmente in preda a chi deve liberarsi dei propri rifiuti.
Oltre all’incombente raffineria ENI, impreziosisce infatti il paesaggio la cosiddetta “via della vergogna”, che costeggia proprio lo Scolmatore inanellando una lunga serie di discariche a cielo aperto. Senza contare le acque conferite dall’Arno in quel di Pontedera, con la loro dote di sostanze immesse dai depuratori e dai canali della zona conciaria.
Ma sulla Darsena Europa e i suoi effetti devastanti per l’atmosfera, come cantiere in sé e come fonte di ulteriori fumi navali, è necessario tornare in altra occasione.
Se è vero che, come stimato da Green Transition, l’inquinamento atmosferico uccide per cancro e malattie cardiovascolari il 10,5% di persone al mondo e di questo almeno l’1,0% potrebbe essere causato dai fumi navali, applicando questa proporzione a Livorno, sarebbero almeno 30 le persone decedute ogni anno!
Il principio di precauzione, sancito dalla Commissione Europea, impone alle autorità di intervenire quando i rischi di un’attività potenzialmente pericolosa non possono essere esclusi con certezza.
Le nostre autorità, accecate da visioni che consideriamo distopiche, preferiscono invece invocare il mantra dell’occupazione, non riuscendo a sottrarsi al triste ricatto fra salute e lavoro, né più né meno che a Taranto.

Qui gli articoli precedenti:
# 1 – IL S.I.N. DI LIVORNO BOMBA ECOLOGICA DELL’ALTO TIRRENO (1)
# 2 – A LIVORNO ABITANTI E LAVORATORI SI BATTONO PER UN PORTO PULITO E SICURO (2)
# 3 – PERCHÉ A LIVORNO POLITICA E IMPRESE SOTTOVALUTANO IL RISCHIO INDUSTRIALE E AMBIENTALE ? (3)
# 4 – PETROLCHIMICO DI LIVORNO: LA COLPEVOLE CONGIURA DEL SILENZIO E DELL’INERZIA (4)
# 5PISA, LIVORNO E IL PATTO DEL CACCIUCCO (INDIGESTO) (5)
# 6 – LIVORNO E COLLESALVETTI: PERCHÉ SI MUORE DI PIÙ (6)

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2 commenti su “Porto di Livorno: la visione “ambientale” del sindaco (7)”

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