Il decoro urbano è il veleno della città

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“La camminata per il decoro”. È questo il nome dell’iniziativa che ha avuto luogo lo scorso 12 maggio organizzata da Matteo Renzi e Stefania Saccardi per le strade di Firenze. Una passeggiata nel corso della quale i due personaggi, armati di cellulare e macchine fotografiche, intendevano denunciare e mostrare l’incuria e l’abbandono in cui versa la città. Come se l’emarginazione e il “degrado” fossero un safari da fotografare e ostentare sui social.

L’evento – non è difficile intuirlo – non si è rivelato risolutivo della problematica nel suo complesso. Tuttavia, esso evidenzia una tendenza ormai egemone nell’attuale classe politica: l’urgenza di fare rispettare il decoro urbano.
Al di là del potenziale memetico della passeggiata, le intenzioni di Renzi e Saccardi sono il riflesso di un fenomeno più ampio che non si esaurisce unicamente nella spettacolarizzazione del disagio sociale al fine di incrementare i propri consensi.

L’iniziativa renziana non è un caso isolato e sempre più frequentemente assistiamo a episodi analoghi.

Oggi il decoro rappresenta una delle fondamenta su cui si è costruita l’egemonia culturale delle politiche urbanistiche degli ultimi anni. Attorno ai temi della sicurezza, dell’ordine e del degrado è stata elaborata una narrazione volta a riformare le logiche governanti le città.
L’esercito contro la movida nel centro storico, il daspo urbano, le zone rosse per un’aggregazione fondata unicamente sul consumo sono solo alcune delle misure tramite cui prende forma la nuova concezione del decoro urbano.

Il termine, ormai svuotato del suo senso originario, è diventato nel corso degli anni uno dei cardini ideologici su cui poggia la nuova percezione della città. Così inteso, il concetto fa riferimento ad un immaginario allarmistico, il cui obiettivo intende suggerire che viviamo ormai in luoghi degradati per cui è necessario intervenire (anche con la forza) per ripristinare un ordine ormai svanito.

La colpa ricade dunque sugli immigrati, sui senzatetto o su altre minoranze etniche. Oscurando, in tal modo, le reali responsabilità. L’insieme di pratiche, retoriche e discorsi che chiamiamo “decoro” hanno il fine ultimo di neutralizzare gli spazi urbani a favore di specifici interessi. L’esito è scontato: criminalizzare e colpevolizzare chi versa in condizioni di povertà e marginalità.

In tale contesto, la guerra al degrado – perseguita e ostentata da politici di destra e sinistra – non è altro che un’elitaria volontà di escludere fasce della popolazione non gradite. Il decoro urbano è l’ideologia dietro cui la nostra classe dirigente nasconde la volontà di emarginare, nascondere ed espellere le classi sociali più povere dagli spazi urbani. Affinché queste ultime risultino non visibili agli occhi esterni.

In linea con tale impostazione, il nuovo significato del concetto gioca un ruolo chiave non soltanto come giustificazione per legittimare inedite misure repressive, ma anche come strumento capace di alterare la concezione che abbiamo dei luoghi in cui viviamo. Nel nostro Paese, oggi, i provvedimenti volti a fare rispettare il decoro si traducono in un costante annullamento dei luoghi, al fine di sottomettere le città all’industria turistica o alla speculazione.

Firenze rappresenta un esempio emblematico di questa tendenza. È in nome di questo principio che vengono adottati e sperimentati inediti provvedimenti restrittivi e repressivi. È in virtù di un fantomatico decoro urbano che viene impedita la possibilità di sedersi sul sagrato di Santo Spirito o di sostare sui gradini di Santissima Annunziata.

Il decoro urbano, se considerato in relazione ai processi di svendita cui Firenze è vittima ormai da decenni, si palesa come una teoria del tutto orientata a normalizzare misure come le panchine anti-uomo e altri dispositivi di architettura ostile. Una visione per cui è lecito usare gli idranti per cacciare i senza fissa dimora o che fa installare transenne nelle piazze per limitarne l’accesso a chi realmente le vive.

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