La (s)vendita di Firenze è inarrestabile. Da qualche giorno, tra gli edifici storici posti in vendita compare l’ex convento di Santa Maria degli Angeli dove, tra 2017 e 2019, prese vita Inkiostro: un “nuovo spazio di agibilità sociale”. Gestito in autonomia dal Laboratorio politico perUnaltracittà e da Clash City Workers (cui poi si aggiunse Potere al Popolo), lo Spazio InKiostro occupò un locale affacciato sullo storico Chiostro degli Angeli (normalmente inaccessibile) e, in un paio d’anni, accolse le molteplici facce della Firenze che resiste. La ventilata vendita dell’edificio contribuì a impedirne la sopravvivenza.
Un altro pezzo di storia di autogestione e di fruizione non mercantile della città fu dunque travolto dal fiume in piena che da almeno quindici anni erode lo spazio urbano, sottraendo – definitivamente – importanti edifici pubblici all’uso collettivo.
L’ex convento si affaccia su via degli Alfani a due passi dal Duomo, stretto tra l’Università (Lettere) e la Rotonda del Brunelleschi, già parte del cenobio. È indubbiamente molto appetibile nella città dell’overtourism e il suo destino pare segnato.
Eppure, un futuro “pubblico” per l’ex convento degli Angeli, oggi di proprietà Anmig (Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra), potrebbe essere facilmente immaginabile. L’Università fiorentina, infatti, che occupa gli spazi contigui, ha bisogno di espandersi. E progetta sul sedime di un edificio di piazza Brunelleschi la nuova Biblioteca Umanistica: una banale scatola con grandi superfici vetrate che promettono ingenti spese di climatizzazione.
Anziché procedere a nuove costruzioni e alla densificazione del centro storico, l’acquisizione all’Ateneo di Santa Maria degli Angeli consentirebbe la riunificazione della biblioteca di Lettere e Filosofia con l’ex convento: un’operazione che avrebbe costi (denaro pubblico) di minore entità rispetto a quelli che l’Ateneo dovrà sostenere per la nuova costruzione.
Si tratterebbe, scrive l’urbanista Roberto Budini Gattai, “di concepire il recupero di un’aulica spazialità manierista per un’alta istituzione cittadina come l’Università”. Ma la prossimità di un’imponente speculazione immobiliare – i 18.000 mq dell’immobile “Bufalini”, con i suoi 150 appartamenti di extralusso –, guida la trasformazione dell’ex convento (e del rione) verso altri usi, altri consumi e altri clienti.
Che un’altra Firenze sia possibile, lo ha dimostrato, nell’arco di oltre due anni di attività, lo spazio InKiostro, capace di generare coalescenze e convivialità, consapevolezza e pensiero critico. Un breve elenco in ordine sparso dei collettivi, comitati, presìdi di resistenza sociale, associazioni, reti e movimenti, che in vario modo vi transitarono, rende l’idea della ricchezza socioculturale che vi si è dispiegata.
Tra di essi: assemblea alternanza scuola/lavoro, assemblea della rete dei collettivi degli studenti medi, realtà di autorecupero abitativo, Rete Set (South Europe facing touristification), NoTap, NoTav, NoTunnelTav, NoPonte, Mondeggi, Radio Wombat, La Città invisibile, CSA NextEmerson, Je so’ pazzo, Gilet Jaunes, rete antirazzista, Acad, Black lives matter, Movimento di lotta per la casa (in particolare per le vicende di via dei Conciatori, e di via de’ Pepi), movimenti femministi, transgender, artisti, realtà di lotta contro la proliferazione del nucleare con Angelo Baracca, l’associazione delle donne contadine indiane Navdanya con Vandana Shiva, i sindacati di base, l’assemblea autoconvocata delle lavoratrici e del lavoratori del sociale, e molto altro.
Secondo un calendario assai serrato, gli ambienti autogestiti sono stati adibiti ad aula studio aperta a studenti medi e universitari, a sportello medico gratuito, a camera popolare del lavoro (sportello legale). A queste attività si intercalavano: il cineforum (cineInKiostro); le presentazione di libri – tra cui 108 metri di Alberto Prunetti, Miserie e splendori dell’urbanistica di Agostini e Scandurra, il primo dei “Quaderni di Testalepre” dedicato a Félix Guattari, curato da Andrea Ghelfi, Henri Lefebvre di Francesco Biagi, Non è lavoro, è sfruttamento di Marta Fana etc. –; le mostre fotografiche; i cicli di incontri. Tra di essi, “La fabbrica del turismo” (con, tra gli altri, Marco D’Eramo) che nell’arco di alcuni mesi ha visto la partecipazione di ricercatori e di collettivi impegnati ad affrontare criticamente il fenomeno dell’estrattivismo turistico e a proporre nuove forme di resistenze culturali, sociali e urbanistiche al modello dell’overtourism. Da questo ciclo è scaturito l’ebook Firenze fabbrica del turismo a cura della scrivente.
Negli appuntamenti de “La favola delle grandi opere”, organizzata da perUnaltracittà, sono stati messi a dialogo ricercatori critici e alcune esperienze di resistenza alle grandi opere inutili e dannose. Vi hanno preso parte Alberto Ziparo, Serena Tarabini, Angelo Tartaglia, Giorgio Cremaschi etc.
Il ciclo di appuntamenti “Cattivi maestri”, con incontri tematici ha costituito un ambiente culturale pluridisciplinare al servizio del movimento reale, un “vero e proprio istituto di ricerca rivoluzionario”.
Infine, la serie di incontri “Mondovisioni, filosofie degli ambienti di vita” ha contribuito a costruire visioni e ragionamenti collettivi sull’ecologia politica e sulla critica anticapitalista dal punto di vista filosofico.
bell’articolo questo di Ilaria Agostini, su come contrastare l’effimera edificabilità nel centro storico
Ma è possibile che l’Università di Firenze, e Architettura in particolare, non abbiamo mai niente da dire a proposito di queste operazioni?!? idem dicasi per la Soprintendenza, così agguerrita contro le pensiline sui viali…
Mi pare si stia preparando l’ennesimo scempio causa ingordigia di denaro: un bel cubo di vetro e cemento farà guadagnare tutti, dagli architetti e costruttori agli erogatori di energia mentre fare di Santa Maria degli angeli il collegamento fra università e vecchia biblioteca non fa guadagnare abbastanza. Questa è la FIrenze che ormai conosciamo e temo che la Funaro non farà niente per bloccare questa brutta storia – il suo sponsor era il fiorentino di Torre del Greco, no?
Grazie Stefano del commento. E’ proprio quello che pensiamo anche noi. Il motore di ogni opera, soprattutto se grande, è il profitto (per pochi). In questo sistema dilagante, è comunque importante far emergere interessi privati e danni per il territorio e le persone che lo abitano, e tenere vivo ogni barlume di pensiero critico. Che, ci auguriamo, possa sfociare in una coscienza collettiva capace di contrapporre in modo efficace un’altra idea di città.