“C’era la nebbia e quando si è diradata per qualche secondo, lo stambecco maschio mi ha fissato negli occhi, io ero immobile; si è allontanato lentamente, con prudenza, guidando più in alto tutti gli altri.”
“E’ la storia di un viaggio in alto e nel profondo” scrive Francesca Manuelli nell’Epilogo di Come sassi di fiume, un bellissimo libro edito da Edizioni Piagge, scritto con parole levigate, che fanno alzare lo sguardo. I pensieri scivolano via, e rimangono emozioni e sensazioni fresche e pulite, come l’aria di montagna.
“Camminavo ormai da due ore quando mi trovai ad attraversare una cengia ampia e sassosa, dove cominciò a soffiare un lieve vento che spostò la nebbia, tanto da mostrarmi qualcosa di sorprendente: di fronte a me c’era un branco di stambecchi. Erano una ventina di animali, femmine e cuccioli.
Mi fermai e rimasi immobile, quasi senza respiro, ammirando quello spettacolo.
Restai a guardare gli stambecchi per almeno un quarto d’ora, finchè la nebbia li riavvolse.”
Gli stambecchi che escono dalla nebbia, regalano intervalli silenziosi, attimi di sacro. Una gioia infantile, come nel fermarsi a veder correre le marmotte nel prato dietro ad un piccolo cimitero di montagna della Valsavarenche. “Un luogo colmo di senso” scrive nelle Note l’autrice e continua: “In Valsavarenche ho trascorso fin da bambina giorni densi. E’ un luogo del cuore, di quelli che ci rimangono dentro e assumono nei ricordi un’aura d’incanto. La luce, gli odori, il colore del mattino e la penombra del tramonto, perdurano nella memoria e sono scivolati in questo racconto. Quell’ascesa e l’incontro con gli stambecchi mi avevano lasciato un profondo senso di pace e di stupore.
Gli incontri ipnotici e sfuggenti, col mondo dei non umani, sono anche il tesoro del nonno bambino di Sofia, la protagonista del libro: “due statuine intagliate nel legno, uno stambecco adulto con due cuccioli e un cuoricino… e un pezzo di carta scritto da una mano di bambino. […] Rimasi in piedi in mezzo al bianco; gli occhi si riempirono di lacrime che lentamente scesero sulle mie guance arrossate.”
“Ciao nonno”
Non c’è solo poesia in questo libro, insieme alla distesa di artemisia e agli eriofori, i bellissimi fiori lattiginosi che sembravano cotone, c’è anche l’inferno: il racconto parte dalla strage della famiglia del nonno bambino di Sofia, da parte dei nazisti nel ‘44.
“Nell’ultimo tratto di salita la nebbia venne spazzata dal vento e scoprì uno stambecco poco sopra di noi, fiero su una roccia […] In quel momento vidi la tensione allontarsi sui loro occhi [ Josepha, Freddy e Alaji in fuga verso la libertà] […] Mi fermai sul Gran Collet, seduta vicino all’omino di sassi, fatto dalla somma delle pietre deposte dai tanti che erano passati di là.”
Non ci sono solo animali sacri, distese di fiori, migranti in fuga, omini di sasso, lungo il viaggio iniziatico di Sofia: “ho incontrato persone che hanno raggiunto il nocciolo di me stessa. Alcune non le ho più riviste, altre mi continuano a camminare a fianco, ma tutte hanno dato sapore ai miei passi e hanno involato i pensieri. […] non sono più la stessa di prima […] mi sento davvero come un sasso di fiume trascinato verso il mare… meno spigolosa, più liscia e luminosa.”
Sofia dai pochi abbracci, all’inizio del viaggio era insicura di se stessa, si sentiva sempre fuori luogo, non credeva di potercela fare da sola, a compiere quello che il nonno le aveva chiesto, ripiegata in se stessa, aveva chiuso la porta sul mondo. “Poi però accade sempre qualcosa che mi fa alzare lo sguardo da me stesso: un alito di vento, il grido lontano di una marmotta, il rotolare di una pietra, i passi di una sconosciuta sul sentiero, e allora mi sento parte di qualcosa che è oltre me e che mi contiene”. E’ Pietro che parla, un prete, che a prima vista sembrava solo troppo malinconico, e che invece fa crollare le resistenze di Sofia al cambiamento: “con le sue parole inaspettate, aveva slegato i miei pensieri. […] come se qualcuno avesse tolto il tappo che li teneva compressi […] Pensai anche alla fine della vita, a quel momento che tanto mi spaventa: la morte, staccata dalla vita è un pozzo di terrore. Forse stava tutto qui: riallacciare quello che è stato diviso, cercare i punti di contatto, unire, abbracciare, riattaccare i frammenti sparsi […] Ho spalancato la porta”. Sono queste le ultime parole del racconto.
“Ma perchè è così strano che una ragazza vada da sola in montagna?”
Francesca Manuelli, Come sassi di fiume, EdizioniPIAGGE, Firenze, 2024-pg.115, euro 12

Gian Luca Garetti

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