A Livorno abitanti e lavoratori si battono per un porto pulito e sicuro (2)

Immaginatevi un piazzale, tipo quello della foto qua accanto. Millecinquecento macchine, o giù di lì, che però invece di essere portate via da qualche parte, stanno lì ferme, tutto il tempo. Col motore acceso.

E ora provate a immaginare di essere nel bel mezzo di una immensa distesa di 40 piazzali come questo, a respirare gli scappamenti di queste sessantatremila automobili, tutto il giorno. Quanta anidride carbonica CO2 possono emettere? A conti fatti diciamo 79.000 tonnellate all’anno. Ecco, secondo la Relazione tecnica della Port Authority, il porto di Livorno immette nei polmoni di lavoratori ed abitanti, oltre alle 109.000 tonnellate di CO2 prodotta dall’intero parco macchine della città, ben 79.000 tonnellate di anidride carbonica, contribuendo in parte a raddoppiare le emissioni climalteranti della città.

Se proviamo a misurare gli altri agenti inquinanti che escono dai fumaioli delle navi in transito o agli ormeggi, il quadro complessivo si fa ancora più drammatico, se possibile:

  • polveri sottili (PM 2,5) quattro volte quelle prodotte dal traffico cittadino,
  • ossidi di azoto oltre cinque volte,
  • addirittura, gli ossidi di zolfo sono 1.200 volte più alti delle emissioni automobilistiche. Facile che sia così: la massima percentuale di zolfo consentita alle navi ormeggiate (lo 0,1%) è cento volte più alta di quella permessa ai veicoli stradali (0,001%).

Avete letto bene: parliamo anche e soprattutto di navi ormeggiate, spesso a poche centinaia di metri dalle abitazioni dei quartieri più popolosi. La stessa Relazione rileva infatti che il 60% delle emissioni viene prodotto durante la fase di sosta, a causa della necessità di tenere accesi i motori per produrre energia elettrica ai sistemi di bordo.

Avviene anche per le enormi navi da crociera, che statistiche alla mano consumano ogni notte quanto dodici hotel, per tenere attivi cinema, piscine, discoteche, palestre di free-climbing e quant’altro serva a migliaia di passeggeri. E avviene ancora di più per le navi portacontainer, che devono alimentare gli impianti di refrigerazione delle merci a bordo, veri mostri energivori, bruciando combustibile fossile. Praticamente Livorno è strangolata notte e giorno da una cintura tossica fatta da giganteschi generatori di elettricità a motore, un sistema di produzione di energia perverso e paradossale che non serve a favorire la navigazione, ma la sosta delle navi a pochi metri dalle case.

Si dirà, ma come, non è possibile alimentarle da terra con l’energia elettrica? Beh, a Livorno ci hanno provato, sette anni fa, elettrificando in via sperimentale la banchina Sgarallino, mai utilizzata perché non basta stendere un cavo su una banchina per risolvere il problema, se gli armatori non spendono per adeguare le navi. Dopotutto, bruciare nafta è facile ed economico, pazienza se si avvelenano i livornesi

C’è voluto il boom di traghetti e crociere di questi mesi per risvegliare gli attivisti di Livorno Porto Pulito, indurli a organizzarsi in Associazione di Promozione Sociale e lanciare nuove iniziative. Si è cominciato con la barca discesa lungo il canale che percorre il centro storico, sulla quale attivisti con la maschera antigas innalzavano lo striscione “I fumi delle navi ci uccidono”. Si è continuato facendo girare ed esponendo questo striscione per tutta Livorno, così come richiesto da tanti residenti esasperati dall’aria irrespirabile. Ai quali si sta chiedendo di diventare a loro volta attivisti nei confronti dei propri vicini di casa, distribuendo “volantini condominiali” in cui si spiega perché “i fumi delle navi uccidono” e cosa si può e deve fare per difendersi.
Oppure si tempestano i media con interviste e comunicati. E se dopo la prima riunione in Comune con Capitaneria e Autorità Portuale non arrivano riposte alle richieste fatte (nuove centraline, nuovi controlli, tempi certi di elettrificazione) ecco che ci si inventano incursioni negli incontri pubblici dedicati al futuro del porto, con qualche domanda scomoda e tanti bei cartelli gialli appesi al collo, si organizzano presìdi per informare la città dell’allarmante rischio sanitario legato al fumo delle navi.

“Non c’è sviluppo senza salute” recita uno. “Vogliamo vivere di navi, non morirne”, recita un altro. E ancora: “Dal porto pane, non veleni”.

Anche a Livorno ormai si è capito che contrapporre salute e occupazione è una precisa tattica di coloro che cercano di dividere i residenti dai lavoratori. L’obiettivo è il solito: continuare a fare profitti stratosferici (alcune compagnie hanno decuplicato gli utili nell’ultimo anno) sulla pelle delle persone. Proprio per questo sabato 10 settembre, attivisti e lavoratori si sono incontrati in un’Assemblea cittadina per confermarsi reciproco appoggio all’interno di una battaglia comune, in cui salute e occupazione devono essere difese come beni complementari, non antagonisti. Livorno non vuole diventare una nuova Taranto ma già lo è almeno un po’, perché anche qui bisogna correre a chiudere le finestre quando il vento si alza oppure gira dal mare, riempiendo le case di fumi cancerogeni.
Ok, mobilitazione, ma poi?
Perché quello dei fumi navali è per l’appunto un problema di dimensioni tutt’altro che locali.
Già, perché gli interessi in gioco sono grandi e diffusi e gli armatori non ci stanno a buttare via navi di cinquant’anni che è troppo costoso adeguare agli standard di altre nazioni. D’altra parte il Mediterraneo è mare intasato di commerci e turisti, a cominciare dalle decine di migliaia di croceristi che sbarcano ogni giorno nei nostri porti. Eppure, uno studio internazionale ha calcolato che per ogni euro generato a beneficio dell’economia locale, otto euro se ne vanno in costi ambientali e collaterali (ammonta a 60 miliardi di euro, per l’OMS, il costo sanitario causato dal trasporto marittimo). E a Livorno probabilmente il rapporto è ancora più impietoso, perché la grandissima parte dei turisti discesi dalle città galleggianti ormeggiate in porto poi sciamano a Firenze, Pisa, Lucca, Siena.

Servono più autisti di pullman” è infatti il mantra dei gestori del business, stupiti e soddisfatti del boom inaspettato del settore (+30% rispetto agli anni pre-covid) “ma non li troviamo perché qui c’è da lavorare anche il sabato e la domenica”. Insomma, nella visione che impera nel patinato mondo del crocierismo, restare a fare il camionista appare una scelta comoda, perché permette di lavorare tutto l’anno e di stare a casa il fine settimana. La logica è sempre quella: se vuoi lavorare nell’indotto devi rinunciare a decenni di faticose conquiste contrattuali: un lavoro a tempo indeterminato, equamente retribuito, con riposi adeguati. Non a caso esplode proprio in questi giorni lo sciopero dei portuali.
Ed ecco perché la battaglia sui fumi navali non è solo una battaglia ambientalista e sanitaria contro un modello di business devastante e predatorio, ma una lotta comune che sta unendo tutti i livornesi.
Perché se “la salute non è una merce”, non lo è nemmeno il lavoro.

(continua)

# 1 – IL S.I.N. DI LIVORNO BOMBA ECOLOGICA DELL’ALTO TIRRENO (1)