Per una Critica al Capitalismo Digitale – XXVI parte
Se il testo sin qui redatto sembra richiamare un atteggiamento luddista dell’autore, questa XXVI parte apre una breccia dalla quale si intravede un orizzonte possibile nel quale l’ibrido e simbionte post-umano, trans-umano, si riappropria del proprio destino che poi è il destino di quell’ambiente mondo. Il concetto di reciprocità che regola le relazioni umane, fonda anche i soggetti ibridanti o simbionti che incorporano le macchine e che ne sono incorporate. Tra le innumerevoli possibilità che si presentano ce ne sono alcune nelle quali l’apporto macchinico al divenire umano apre una possibilità di sopravvivenza dei soggetti così concepiti.
L’hostis latino ha un parallelo in un altro termine latino che è munus inteso come un dono che obbliga a uno scambio, dalla radice mei che è proprio “dare in cambio”. Se munus vuol significare un dono che obbliga a uno scambio, l’aggettivo derivato communis è propriamente chi ha in comune dei munia cioè dei doni da scambiarsi. Ora quando questo sistema di compensazione gioca all’interno di una stessa cerchia, determina una “comunità”, un insieme di uomini uniti da questo legame di reciprocità (Pierazzuoli, p. 161)
La creazione di una comunità presuppone dei soggetti che si sono impelagati in una serie di gesti attraverso i quali riconoscono l’altro. Si riconosce così l’altro come altro da sé. Si scoprono differenze a partire però non da una tabula rasa, ma da somiglianze, da pulsioni imitative che portano alla simpatia che poi si alimenta tramite l’azione dell’empatia. Lo stare degli uomini e delle donne innestato da quella serie di scambi è così regolato dalla reciprocità. Si crea cioè una rete simbolica interna alla comunità che la tiene unita. Nella comunità le relazioni sono indeterminate, non determinate una volta per tutte, sono in divenire; regolate dalle leggi della reciprocità sulle quali essa si fonda. Così è dei soggetti che celebrano la loro esistenza in relazione ai rapporti di reciprocità cui sono legati. Non esiste allora un soggetto a priori ma nemmeno uno a posteriori; il soggetto è soltanto l’epifenomeno degli scambi simbolici che la reciprocità regola, che la reciprocità governa.
L’empatia è lo stadio primitivo e automatico che fa riferimento al cervello istintuale, a quella che veniva chiamata la condizione animale. A uno stadio più alto si presentano la simpatia o la repulsione che portano esiti diversi: la lotta o l’accoglienza. La reciprocità è dunque il fondamento degli scambi simbolici che sono così regolati da rapporti fiduciari di credito/debito che inizialmente dominano e saturano tutte le possibili interrelazioni tra sé e l’altro. La comunità reciproca precede lo scambio mercantile. Non usa moneta come unità equivalente o come unità di conto, anzi, basa il suo funzionamento su valori ostentativi, suntuari e di prestigio che non hanno misura, ma che esprimono delle qualità.
Se il sé è costituivamente indefinito; se l’individuazione è un processo che lavora continuamente senza fermarsi; se le ibridazioni umani/non umani/macchine non cessano di realizzarsi, di costruirsi e disfarsi; allora la macchina produttiva e quella riproduttiva sono macchine sociali. L’elemento culturale della natura naturalculturale degli individui, delle individuazioni, ha a che fare con la memoria, con la ritenzione. Anche la coscienza ha a che fare con la memoria. La memoria con la sua funzione obliante isola la percezione scartando (dimenticando qualcosa). Il percepito è una configurazione metastabile di neuroni eccitati (attivati o meno), di un processo di pruning o sprouting sinaptico, o di bit accesi o spenti, ma potenzialmente anche una loro combinazione. La rimemorazione è infatti il rimanifestarsi di quello stato, l’azione di prenderne atto che diviene un prenderne coscienza. L’evento giunge alla coscienza attraverso un lavoro che dà forma all’indistinto delle infinite sollecitazioni che i recettori raccolgono. La percezione risentita (estratta e portata alla coscienza, che è quella cosa che chiamiamo coscienza) è dare un certo ordine al caos degli stimoli potenzialmente infiniti.
«La capacità di fare memoria di categorizzare e filtrare informazioni, di dare forma a nuove configurazioni accomuna tutta la materia, come sembrerebbe dimostrare il fatto che esiste qualcosa anziché nulla». Questo qualcosa è quello che si può mettere in relazione con le “quattro forze fondamentali della natura” (l’elettromagnetismo, la gravitazione e le due interazioni nucleari, debole e forte). «Ogni struttura e ogni ricorsività, in quanto elaborazioni relative a problematiche concrete, sono per certi versi invenzioni tecnologiche, il prodotto di una serie di convenzioni e “giochi adattivi”. L’intelligenza della natura sarebbe allora qualcosa avente a che fare con una facoltà “sintetica”, «una primordiale capacità di estrarre campioni da serie di elementi differenti, producendo pattern ricorsivi» (Kulesko, p. 46). Impulso vitale o philum macchinico, pulsione neghentropica o che altro sia, non ci interessa.
Con questo volevo dire che il problema del dominio delle macchine, preso da un punto di vista più ampio, è il problema del dominio umano, è il fondo antropo dell’antropocene. L’individuo naturalculturale, il cyborg, l’animale umano e non umano, l’ibrido diffuso, è un soggetto in divenire ed è un soggetto plurale, relazionale che si costituisce all’interno di rapporti di reciprocità. Il senso stesso di Intelligenza Artificiale in questo contesto ha poco senso. Gli studi volti a perseguire “l’Intelligenza Artificiale”, a costruire la macchina intelligente, hanno come pregiudizio originario la produzione di merci. La forzatura individualizzante, che scorpora le cose dal loro fondo relazionale ha come sfondo una forma di cultura che ha affidato a un medium esterno la conservazione delle ritenzioni, della memoria (la scrittura e altre mnemotecniche). Si tratta di una vera e propria lacerazione dei corpi, la costruzione di un’organologia, di una tassonomia che strappa i corpi dal loro continuum esistenziale. Il corpo macchinico immerso nei suoi flussi, si separa divenendo macchina, divenendo prodotto intorno al quale, in ultima istanza, realizzare una valorizzazione che comporta la possibilità di trarne un profitto.
Ecco allora un antispecismo radicale che contrasta la macchina astrusa, astratta e celebra il cyborg, la connessione, la commistione, la macchina desiderante. Che legge la reciprocità come flusso macchinico. Che in questo flusso intravede anche un recupero artigianale del modo di produzione.
Parlando e straparlando di lavoro cognitivo si ha una situazione attuale che mobilizza i termini e i soggetti del rapporto di lavoro e del modo di produzione. Se da una parte la macchina incorpora non soltanto il lavoro morto speso per la sua costruzione, adesso incorpora anche il lavoro cognitivo, il lavoro vivo inteso come sapere collettivo o general intellect, il saper fare degli umani. Questo, oltre a essere un processo di proletarizzazione (Stiegler e Illich), ha anche altre conseguenze. Il soggetto detto forza lavoro, l’individuo sociale, in realtà è un soggetto ibridato, è un ente che può incorporare parti biologiche e parti macchiniche (Hardt e Negri lo chiamano “assemblaggio macchinico”) con il risultato che quello che Marx chiama capitale fisso, adesso non è più soltanto un contributo del capitalista visto che il capitale fisso è proprio quell’ibrido umano/non-umano/macchina che può mettersi a produrre anche in forma indipendente. Gorz dice che «essi possono in linea di principio emanciparsi dal capitale, sottrarsi al capitalismo per auto produrre dei beni materiali e immateriali per il proprio uso sottraendoli alla forma valore, cioè alla forma denaro, alla forma merce». Questa via di fuga, riuscire a pensare più di una via di fuga, frutto della cooperazione sociale, ci restituisce quel soggetto collettivo particolare, il corpo vivente attraversato da flussi macchinici. «Il macchinico ha molte caratteristiche in comune con il nostro concetto di moltitudine, che prova a individuare soggettività politiche composte da singolarità eterogenee – una differenza significativa è che, mentre noi concepiamo la moltitudine esclusivamente nei termini di singolarità umane, un concatenamento macchinico si compone di una gamma più ampia di esseri, umani e non umani» (Hardt e Negri, p. 167). Per loro, questo sarebbe quello che Boyer e Marazzi chiamano “la produzione dell’uomo per mezzo dell’uomo” «in opposizione alla tradizionale idea della produzione di merci per mezzo di merci […] Più precisamente: quando diciamo che il capitale fisso viene riappropriato dai soggetti di lavoro non intendiamo semplicemente dire che diventa di loro proprietà, ma piuttosto che si integra in assemblaggi macchinici, come componente della soggettività. […] Ma la potenza di queste nuove soggettività macchiniche è solo virtuale fino a quando non viene attualizzata e articolata nella cooperazione sociale e nel comune» (ivi, p. 168). Si tratterebbe non di un mero passaggio di proprietà dei “nuovi” mezzi di produzione, ma di un passaggio possibile della ricchezza e del potere produttivo del capitale fisso. Quando questi «sono appropriati socialmente e si trasformano da proprietà privata a comune, allora la potenza delle soggettività macchiniche e le loro reti cooperative possono pienamente attualizzarsi» (ivi, p. 169, vedi anche Fadini, pp. 105-121).
Marx aveva presente l’artigiano come individuo singolo e, pur essendo cosciente dell’espropriazione del suo saper fare da parte del sistema di produzione capitalistico, ne stigmatizzava il suo carattere individuale e non sociale. A parte che le corporazioni artigiane e il sistema delle botteghe smentiscono la visione di un soggetto che si condensa in una figura solitaria, il problema dirimente è quello della divisione del lavoro e la sua serializzazione che caratterizzano il sistema manifatturiero della fabbrica.
L’operaio sociale diventa adesso “soggettività macchinica” la cui capacità produttiva incorpora più enti: il cognitivo generalizzato (il general intellect), le appendici inorganiche, gli organi in silicio. Anche questo soggetto non è dato una volta per tutte per cui anche la serializzazione produttiva si ridimensiona. A ripetersi non è quella identità non data, ma il succedersi di differenze come ripetizione di singole variazioni che comprendono scarti, errori e casualità che caratterizzano il farsi del soggetto. Qui la produzione comporta oltre alle merci, spesso immateriali, la riproduzione della forza lavoro e la cura. L’artigiano macchinico si riprende il suo saper fare (in un certo senso non lo ha mai ceduto) e non lo divide con altri soggetti in vista di una divisione del lavoro – per altro alienante – ma lo può socializzare in termini cooperativi.
Si innestano in questo contesto alcune riflessioni, welfare, cura, lavoro di riproduzione, che è possibile rimandare a un concetto di reddito incondizionato, quello che Christian Marazzi chiama “bioreddito”, sono altresì riconducibili alla teoria del valore attraverso il concetto di ammortamento del “capitale fisso” (sempre Marazzi) questa volta riferito a quella forza lavoro divenuta soggetto bio-macchinico. L’ammortamento riguarda perciò la presa in carico da parte del processo di produzione dell’usura delle macchine e delle bio-macchine e quindi del processo di riproduzione e cura dei corpi incorporanti la macchina produttiva. Il concetto di usura e il suo collegato, l’ammortamento, diventano applicabili anche all’ambiente nella misura determinata dall’usura responsabile del suo depauperamento; all’usura di quell’ibrido/simbionte umano/non umano, postumano, transumano, e dell’ambiente che esso determina e dal quale viene determinato. I rapporti cooperativi sono dunque quei rapporti relazionali di reciprocità che segnano l’universo sociale nel quale animali umani e non umani, ibridi macchinici, cose, si confrontano e si determinano. Riprodurre la forza lavoro e riprodurre l’ambiente – averne cura – sono infatti la stessa cosa. Welfare, commons, lavoro domestico, ambiente, produzione, riproduzione e cura sono concetti intrecciati profondamente all’interno di una teoria del valore che non occulti nessun soggetto, nessuna capacità performativa da parte di qualsiasi ente, organico o non organico, esso sia.
Continua…
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Gilberto Pierazzuoli, Il lavoro è una cosa “seria”. Apologia della festa, Ombre corte, Verona 2020.
Hardt e Negri, Assemblea, Ponte alle Grazie, Milano 2018.
Ubaldo Fadini, Soggetto e fantasia. Per un’antropologia macchinica, Clinamen, Firenze 2020.
Claudio Kulesko, Macchine compositive. In: a cura di Massimo Filippi e Enrico Monacelli, Divenire invertebrato. Dalla Grande Scimmia all’antispecismo viscido, Ombre corte, Verona 2020.
Qui la I parte, Qui la II, Qui la III, Qui la IV, Qui la V, Qui la VI, Qui la VII, Qui la VIII, Qui la IX, Qui la X, Qui la XI, Qui la XII, Qui la XIII, Qui la XIV, Qui la XV, Intermezzo, Qui la XVI, Qui la XVII , Qui la XVIII, Qui la XIX, Qui la XX, Qui la XXI, Qui la XXII, Qui la parte XXIII, Qui la XXIV, Qui la XXV
Gilberto Pierazzuoli
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