Dove va il progresso? Cronache dal Metaverso

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*Per un’ecologia anticapitalista del digitale – parte #9

**piccola avvertenza: la materia e i termini non sono così comuni, per questo l’articolo è ricco di link non soltanto con indicazioni sitografiche ma anche che rimandano a un indiretto glossario in rete. Siete pregati perciò di non trascurarli ma di seguirli tutte le volte che pensate di non conoscere il termine citato.

La digitalizzazione della realtà è connessa a un altro meccanismo: quello della valutazione. L’aziendalizzazione dei beni comuni e cioè della scuola, della sanità e dei trasporti comportava egualmente una forma di valutazione dell’efficienza dei processi. Esserne a conoscenza era utile anche analogicamente, ma l’esigenza di affidare certi compiti a strumenti automatici, a macchine programmabili ha accelerato alcuni processi. Interviene poi la divisione tecnica del lavoro. La compartimentazione della produzione in fasi diversificate da poter delocalizzare e/o esternalizzare, mette in campo un bisogno di segmentazione della produzione, a partire da una discretizzazione del reale. La prima semplificazione del reale è questa sua interpretazione. Dal continuum indefinito si passa a una compartimentazione finita che possa essere manipolabile dalle macchine. La presa in carico algoritmica – monopolizzata dalla tecnica di data mining che ha permesso di monetizzare i più importanti servizi offerti gratuitamente dalla rete – sottopone questa frammentazione del reale a una forma di giudizio, a una forma di accettazione condivisa perché statisticamente descrivibile. Le cose sono vere nella misura in cui sono probabili. Si tratta di uno spezzatino cognitivo alimentato da più dispositivi che convergono nella in-dividuazione/parcellizzazione/valutazione della realtà. L’improbabile, anche se possibile, non ha diritto di esistenza. Anche il giudizio, alla base della autorevolezza delle pubblicazioni scientifiche, e quindi come forma di veridizione scientifica, valorizzerà il convenzionale, boccerà la scoperta. “Se qualcuno ha fatto un grande passo in avanti teorico collegando due corpi di pensiero precedentemente abbastanza disparati, allora le loro possibilità di trovare casa in una rivista scientifica saranno molto inferiori a quelle di qualcuno che sta seguendo una traccia ben calpestata all’interno di una disciplina riconosciuta (o, oggigiorno, più probabilmente una sotto-sotto-disciplina)” (Huws, p. 69). Per il piacere di tutti coloro che parlano dei progressi della tecnoscienza come volani dell’innovazione.
Mi si potrebbe obiettare che la discretizzazione della realtà alla base della sua digitalizzazione, può essere fatta anche a livelli inferiori alla percezione umana. Il campionamento musicale può scendere a dimensioni non apprezzabili dai nostri sensi; per la discretizzazione della visione basta cogliere venticinque fotogrammi al secondo per descrivere il continuum del moto; la risoluzione degli schermi basta che si fermi a quella percepibile dalla retina umana, vedi gli schermi retina della Apple. Il risultato si muoverà così nella direzione per la quale la segmentazione sarà così sottile da poter permettere la diversificazione delle merci per un’offerta di sfumature pressoché infinite dello stesso prodotto, quello che il lavoro dell’algoritmo ha disegnato scartando tutte le possibilità inconsuete. “Il lavoro digitale sarà sempre più creativo” è la promessa mancata del progresso tecnologico. ” Più le persone sono creative, più la loro metodologia è interdisciplinare, più ampia è la loro conoscenza ed esperienza, meno è probabile che si adattino ai preconcetti dei burocrati e dei tecno-nerd che hanno progettato i formulari [di assunzione]” (ibidem). L’intestardirsi dell’industria digitale sulla tecnologia dei big data riproduce in peggio il vecchio mondo, impedendo la nascita di strumenti capaci di sorpassarlo in vista di una prospettiva migliore. A che pro? Ma anche, a chi pro? Pro ai padroni delle piattaforme, al Capitalismo Digitale, ma nuoce, diremmo, a quel progresso che la propaganda sbandiera in ogni dove.

Il progresso si sta spostando sempre di più verso il mondo virtuale, sulla Realtà Aumentata (AR), sulla Realtà Virtuale (VR) o Realtà Mista (MR). Tutta l’attenzione è oggi verso il Metaverso. Facebook è diventata Meta. È di questi giorni il comunicato di Apple di ingenti investimenti nel Metaverso (27.01.2022). In un luogo segreto e non collegato direttamente a internet, Facebook ha istallato il computer attualmente più potente con numeri realmente impressionanti. Non è una evoluzione a livello di microprocessori o a livello della piattaforma, sono tutte tecnologie già presenti, la differenza è soltanto il fatto che abbia messo in parallelo un numero esorbitante di chip (Gpu Nvidia le stesse della mia scheda video) in abbinamento a una memoria e a una cache di grandi dimensioni, il tutto alloggiato in un edificio costruito appositamente. Ha usato cioè la forza bruta, quella che si può permettere una multinazionale che ha fatto la spesa in grande. Anche il super computer si chiama Meta. Sempre in questa direzione è stata interpretata l’acquisizione da parte di Microsoft per 68,7 miliardi di dollari, della casa di produzione di videogiochi Activision Blizzard.
Vi ricordate le enclosures (recinzioni) in relazione all’accumulo capitalista? Il concetto di recinzione come prodromo all’appropriazione è un dispositivo, un meccanismo interessante, un attrezzo da tenere a portata di mano. Ma cosa saranno le enclosures digitali? Quelle che funzioneranno nel Metaverso? Un universo parallelo digitale, dove sarà possibile interagire con gli altri, la possibilità di un altro mondo diverso da questo? No! Anche il mondo virtuale non sarà un territorio vergine. Non saranno “terre comuni”. In attesa della sua implementazione definitiva ci sono già gli strumenti adatti all’appropriazione. Anzi li hanno creati prima ancora che le infrastrutture dove questi operano siano messe in campo, ecco a voi gli NFT. I token non fungibili, che rappresentano l’atto di proprietà e il certificato di autenticità che usa la Blockchain per la validazione. Un po’ come le criptovalute tipo i Bitcoin. Se il valore del denaro è ormai soltanto un atto di fede, supportato più da un elemento consuetudinario che da strumenti reali, le cripto valute ne sono la rappresentazione attuale. Autenticità come base e come in-dividuazione, come recinzione, per l’appropriazione

Dal 20 gennaio 2022, Twitter ha introdotto la possibilità per gli utenti del suo servizio premium a pagamento, Twitter Blue, di usare come immagine del profilo un Nft, i non-fungibile token. Lo stesso giorno, il Financial Times ha riferito che Meta stava lavorando all’integrazione degli Nft nei profili di Facebook e Instagram.
Il Metaverso è un universo parallelo virtuale dove però si possono fare scambi reali. Invece di quello che succede nel web attuale, l’esperienza del metaverso è più fisica, coinvolge più sensi. Permetterà di vivere una seconda vita tramite nuovi strumenti più immersivi. Un altro mondo disegnato non dalla natura – roba ormai superflua – ma dai padroni delle piattaforme. Il metaverso sarà abitato dai nostri avatar andando a costruire la possibilità di nuove relazioni che vanno molto oltre le chat, lo scambio di immagini e video permessa dalle attuali piattaforme social. Nel metaverso ci saranno terreni, sia territori vergini sia popolati con case, negozi e vetrine. E qui scatta la connessione con il mercato e la produzione del mondo reale. La possibilità di fare shopping in modi molto realistici. Di allestire vetrine per prodotti del mondo reale ma queste vetrine non equivalgono a quelle dei siti del web attuale, teoricamente ognuna con la stessa visibilità delle altre, almeno in partenza. Lo sappiamo, i motori come Google trovano, ma anche discriminano. Nel metaverso, come nel mondo reale, sarà importante avere la vetrina in una parte appetibile della città: nelle strade dello shopping e non in periferia. Per questo si possono acquistare e affittare proprietà garantite appunto dai certificati che la blockchain (una catena di validatori diffusa) rilascia.
Una delle particolarità del metaverso è di aprire alle esperienze del multiverso/pluriverso, una teoria dei molteplici universi spesso anche paralleli che la crisi del percepito, prodotta dalle teorie quantistiche, ha innescato. Sì perché anche di metaversi ce ne sono e ce ne saranno più di uno, come i social con qualche piattaforma che diventerà quella più frequentata. Dove fare allora gli acquisti? Falso problema. Questa è un’economia ipotetica: il punto di arrivo dell’economia finanziaria che sarà riuscita a sbarazzarsi definitivamente dei riferimenti all’economia reale. Ogni investimento è a rischio, è una scommessa. Il metaverso X sarà più a rischio ma con rendite più alte e così via. Il metaverso è allora quel luogo dove comprare una vetrina equivale all’acquisto di uno spazio pubblicitario in questa o quella piattaforma. Ecco che le possibilità creative del multiverso, la creazione di universi fantastici, le ipotesi di comunicazione tra un universo e l’altro, i portali di accesso e di connessione con tutte le possibili affabulazioni ci sembrano già potenzialità sminuite. Chissà se ci sarà possibile vivere e giocare dentro un’ucronia? Ricordate il romanzo di P. Dick “La svastica sul sole” (The Man in the High Castle) dal quale è stata estratta anche una serie TV? Forse sì, anche l’universo ludico è un settore ad alto ritorno economico ed è proprio da questo che nascono le tecnologie della virtualizzazione. Ma l’interesse delle grandi aziende del capitalismo digitale punta da subito al nocciolo economico dell’implementazione. Al contrario di quello che è successo per il primo web dove i modi di monetizzazione sono venuti dopo l’implementazione delle piattaforme, qui siamo partiti con il modello di estrazione del valore già molto chiaro. Si potrebbe dire che siamo soltanto agli inizi, ma che questi promettono bene. All’inizio di gennaio 2021, il più grande attore nel settore, il marketplace di Nft OpenSea, ha raccolto trecento milioni di dollari di finanziamenti, portando la sua valutazione a 13,3 miliardi di dollari (vedi qui). A questo punto però sorgono dei problemi se non dei conflitti. Questi strumenti erano “garantiti” da un validatore diffuso (la blockchain), adesso le grandi compagnie invece puntano su un approccio centralizzato. Si ripete la storia che una tecnologia che nasceva da una visione diciamo libertaria, in mano alle aziende che vogliono estrarci del profitto, si trasformi poi quasi nel suo opposto. Ecco le enclosures. Certo che la storia delle criptovalute è piena di episodi di falsificazione, di appropriazione indebita, di speculazioni sulla speculazione del micro trading on line, ma l’ingresso delle grandi piattaforme non è di per sé assolutamente rassicurante. Mi viene in mente una cattiveria: a un malaffare di piccolo cabotaggio diffuso, se ne sostituirebbe un altro che si accaparrerebbe tutto il bottino, centralizzando il processo.

Il metaverso potrebbe essere un luogo fantastico dove un mondo reincantato permette la condivisione non soltanto dei nostri bisogni materiali ma anche dei sogni; più universi, edenici o mostruosi. Luoghi in cui condividere esperienze con creature aliene. Nei giochi di simulazione era possibile creare città a nostro piacere almeno nei limiti della dotazione prevista da chi aveva disegnato il gioco. Nel metaverso delle piattaforme il mondo è la reificazione, la sustanzializzazione del mercato senza quegli strascichi depositati dalla storia che ingolfano il mondo reale. Arrivare per primi comporta dei vantaggi ma anche dei rischi.

Adesso è effettivamente il momento giusto per credere in questo progetto e iniziare ad investire per riuscire ad avere una vita “agiata” anche nella controparte digitale della nostra vita. Investire oggi significa infatti poter seguire passo passo l’evoluzione del metaverso, ma anche riuscire a acquistare e vendere azioni, NFT, crypto e quant’altro a prezzi decisamente più convenienti, rispetto a quando lo stesso mondo digitale inizierà seriamente a prendere piede in tutto il mondo (qui)

Si possono anche comprare azioni. Ovviamente anche nel metaverso ci saranno i derivati, gli swap tutta quella roba che ha permesso alle banche che avevano depositi per dieci, di commercializzare “titoli” per duecento e forse più. Nel meta-verso ci sono ovviamente anche le meta-azioni, le azioni autoreferenziali; come gli EFT, le azioni riferite al metaverso stesso. Roundhill Ball Metaverse ETF è il primo ETF basato sul trend del metaverso creato da Roundhill Investments, il cui obiettivo è quello di replicare l’andamento di prezzo dell’indice Ball Metaverse Index. Che ne dite invece di tenersi su qualcosa di più concreto? Per esempio acquistare dei terreni? Comprare oggi significa che quando il metaverso prenderà piede, tutti ne vorranno un pezzetto. Se poi vuoi avvantaggiarti puoi provare a costruirci un centro commerciale, una via, una piazza per lo shopping di lusso, in modo tale da imporre il luogo ai nuovi arrivati. Sarà come avere a priori la proprietà di piazza della Vittoria per quando il gioco del Monopoli troverà concretezza nel multiverso. Secondo un’ANSA del 3 febbraio ci sarebbe già una corsa all’acquisto di immobili virtuali. Secondo un rapporto dell’agenzia Metametric Solutions, il settore meta-immobiliare ha raggiunto un valore di 500 milioni di dollari nel 2021 e dovrebbe raddoppiare entro l’anno. Ma dove si può fare la spesa? Ci sono le apposite piattaforme che trattano questi titoli: Sandbox, Decentraland, Cryptovoxels e Somnium. In queste, nel mese di gennaio, le contrattazioni hanno superato gli 85 milioni di dollari tanto da poter stimare un giro di affari di un miliardo di dollari entro la fine dell’anno. Secondo un rapporto di BrandEssence Market Research, il tasso di crescita annuale composto dal settore sarà pari al 31% tra il 2022 e il 2028. Ma ancora non sono i piccoli trader, non è ancora un mercato per singoli investitori. Sono cose relative a chi fa la spesa preventiva. C’è già un distretto della moda a Decentraland che ha l’obiettivo di ospitare eventi fashion e negozi per la vendita al dettaglio. Il gruppo Token.com ha già vari accordi con marchi di abbigliamento per l’affitto di vetrine virtuali, in vista di un lancio globale nei prossimi mesi.

L’esperienza nel metaverso è sicuramente più immersiva di quella possibile in rete. Il problema sono le interfacce tra questo mondo e gli umani. Si sono sperimentate varie soluzioni, guanti e sensori sul corpo e un visore particolare, non semplicemente uno schermo, quello del desktop, del tablet o del telefono. In questi si percepisce ancora la realtà circostante. Una specie di occhiali schermati sui lati che assomiglia a una maschera subacquea per isolarti dal resto del mondo. L’attenzione si sta concentrando qui, su una esperienza sostanzialmente sonora e visiva. Il problema sono gli ingombri e quanto possa essere confortevole tutto ciò. Sembra infatti strano che Elon Musk, uno dei più marpioni del comparto, non sia presente nella corsa al metaverso, luogo peraltro dove aveva messo il suo zampino attraverso i suoi investimenti in Bitcoin. Ma è soltanto perché sta già lavorando al metaverso 2.0 dove a fare la differenza sarà la sua idea di interfacciarsi direttamente con il cervello. La sua azienda la Neuralink sta lavorando proprio a questo fingendo invece di fare ricerche su protesi avanzate per migliorare la vita a persone con handicap gravi.

Nello stesso modo nel quale il capitalismo estrattivo ha esteso la sua presenza minacciosa al comparto dei servizi pubblici che costituivano – insieme al salario – un modo di contribuire al reddito complessivo, così anche tutti i servizi “virtuali” entrano nel mirino del capitalismo delle piattaforme, che trova in essi un modo diverso di monetizzare la sua attività, superando la centralità pubblicitaria (il core business) di piattaforme come Google e Facebook. Pensate a qualcosa di simile alla DAD da svolgere nel metaverso, una tecnologia che più si avvicina alla didattica in presenza ma che si può svolgere in edifici e aule virtuali. Sicuramente un passo in avanti, condito però dal fatto che tutta l’edilizia scolastica si troverà in un colpo solo in mano ai privati. Con l’enclosures costituita dai copyright sulle tecnologie del meta-insegnamento, anche la formazione del personale docente verrà esternalizzata alle piattaforme, facendo sì che tutta la scuola e ogni altro tipo di formazione diventino improvvisamente privati. A ben pensare quasi tutto quello che si faceva in rete si potrà fare probabilmente meglio nel metaverso, un mondo intero in mano a poche grandi piattaforme. Stiamo per vendere il pianeta a gente come Zuckerberg o come Bill Gates che ci stanno sottomettendo non attraverso i vaccini, ma in un modo molto più sofisticato: senza cioè farci inizialmente nemmeno un graffio.

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(*) La rubrica, curata da Gilberto Pierazzuoli, raccoglie una serie di articoli che riprendono il lavoro di “Per una Critica del Capitalismo Digitale”, libro di prossima stampa uscito a puntate proprio su questo spazio. Una sorta di secondo volume che riprende quelle considerazioni e rende conto del peso antropologico e delle trasformazioni che il mondo digitale provoca nel suo essere eterodiretto dagli interessi di tipo capitalistico. Una prosecuzione con un punto di vista più orientato verso le implicazioni ecologiche. Crediamo infatti che i disastri ambientali, il dissesto climatico, la società della sorveglianza, la sussunzione della vita al modo di produzione, siano fenomeni e azioni che implicano una responsabilità non generalizzabile. La responsabilità non è infatti degli umani, nel senso di tutti gli umani, ma della subordinazione a uno scopo: quello del profitto di pochi a discapito dei molti. Il responsabile ha un nome sia quando si osservano gli scempi al territorio e al paesaggio, sia quando trasforma le nostre vite in individualità perse e precarie, sia quando – in nome del decoro o della massimizzazione del profitto– discrimina e razzializza i popoli, i generi, le specie. Il responsabile ha un nome ed è perfettamente riconoscibile: è il capitale in tutte le sue declinazioni e in tutti i suoi aggiornamenti.
Come per gli articoli della serie precedente, ognuno – pur facendo parte di un disegno più ampio – ha un suo equilibrio e una sua leggibilità in sé e là, dove potrebbero servire dei rimandi, cercheremo di provvedere tramite appositi link.

Qui la prima parte, Qui la seconda. Primo intermezzo, Secondo intermezzo, Qui la terza, Qui la quarta, Qui la quinta, Qui la sestaQui la 7.1Qui la 7.2Qui la 8.1 Qui la 8.2

 

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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1 commento su “Dove va il progresso? Cronache dal Metaverso”

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