Socialismo digitale

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Per una Critica del Capitalismo Digitale

La commistione tra corpi depositari del saper fare; delle relazioni che intercorrono tra i corpi; il sapere che i dati grezzi contengono; quella tra la forza lavoro e il prodotto del lavoro; i cicli e i flussi di feedback. La commistione tra logistica e produzione; la presenza di un intelletto generale che guida la produzione ma ne è anche l’oggetto, creano le condizioni per le quali è qui intuibile la possibilità di una “pianificazione” mutuale e collaborativa della produzione. Una pianificazione dove di centralizzato c’è soltanto il metodo e dove ogni tassello ha voce in capitolo. Una pianificazione adattiva che fa riferimento a una rete dove i nodi sono i punti di elaborazione di innumerevoli periferie. Dove la massimizzazione è orientata al benessere di tutti, alla redistribuzione della ricchezza prodotta e non al suo accumulo. Non per rendere il capitalismo più efficiente, né per instaurare un capitalismo di stato, ma per rimuovere la macchina burocratica dello stato mettendo in campo forme di democrazia diretta possibili attraverso il governo algoritmico della produzione e della riproduzione. Per una forma di comunismo digitale prodotta da soggetti relazionali, ibridi e in divenire. Non è un problema di semplice potenza computazionale, ma del passaggio da una architettura computazionale a stack, un semplice impilamento gerarchico a partire da un algoritmo che al vertice determina lo scopo, a una proliferazione rizomatica e reticolare che governi non solo la produzione ma anche la riproduzione. Il passaggio da una forma di organizzazione molare a una di tipo molecolare: «Gli stessi elementi esistenti in flussi, strati e assemblaggi possono essere organizzati in modo molare o molecolare. L’ordine molare corrisponde alla significazione che delimita oggetti, soggetti, rappresentazioni e loro sistemi di riferimento. Mentre l’ordine molecolare è quello dei flussi, dei divenire, delle transizioni di fase e delle intensità» (Guattari). D’altronde è un’idea che sfiora anche alcuni economisti come Brancaccio (qui) che dice che la pianificazione sarebbe una forma di via di uscita dalle attuali tendenze del capitalismo.

L’economia borghese si basa principalmente sul feedback che il mercato le restituisce. La pianificazione, non essendo una economia di mercato, mancando di questi ritorni, di questi incitamenti o di queste correzioni, sarebbe una economia aleatoria e peccherebbe – secondo un famoso articolo di von Mises – di irrazionalità (cfr. qui). Più possibilisti due altri autori liberisti (von Hayek e Robbins) (ibidem), per i quali la pianificazione sarebbe in teoria possibile ma avrebbe bisogno di capacità computazionali inimmaginabili all’epoca nella quale questi autori scrivevano. In realtà non è la pura potenza computazionale, ma proprio i feedback che mancavano. Oggi proprio su di essi si basa la digitalizzazione dell’economia, sugli innumerevoli sensori – oggettivi e soggettivi – che estraggono dati dai comportamenti umani, aprendo la strada a una possibile “pianificazione” che vada in direzione del comune.

Nello stesso articolo nel quale Brancaccio accennava alla pianificazione individuava, come abbiamo detto, alcune tendenze macro economiche del capitalismo attuale. Dice infatti che c’è un tasso di rendimento del capitale più alto del tasso di crescita del reddito, che si manifesta con una tendenza all’aumento delle disuguaglianze tra chi vive di ricchezza e chi vive di lavoro. Dice anche che quanto maggiore sarà il tasso medio di interesse rispetto al tasso medio di profitto, tanto più stringente sarà la condizione di solvibilità. Questo comporta il fatto per il quale sarà sempre più difficile onorare i debiti accumulati. Altra tendenza che individua è quella alla centralizzazione del capitale che si accompagna con quella alla polarizzazione delle classi: “La centralizzazione capitalistica, inesorabilmente, tanto tende a concentrare il potere di sfruttamento in poche mani quanto tende a livellare le differenze tra gli sfruttati”. Conclude dicendo che una possibile via di uscita da questa tendenza economica potrebbe essere una forma di pianificazione, controllata però anche esternamente da istituzioni popolari di democrazia diretta e partecipativa.

Parlare di pianificazione fa venire in mente i piani quinquennali sovietici e tutte le forme della stessa messe in opera nell’esperienza socialista della ex URSS. La pianificazione doveva essere un modo collettivo di indirizzare l’economia in contrapposizione con quello individualistico delle economie borghesi. Dall’altra parte, sul fronte di quest’ultime, il lato da salvaguardare era la libertà della proprietà privata, spacciata per libertà in generale. In definitiva il problema era quello di cosa ne sarebbe stato delle libertà individuali all’interno di un’economia programmata, di un’ipotetica economia socialista. Qui il concetto di moltitudine da usare al posto di quello di individuo può essere utile.

“Per Hobbes il concetto di popolo è strettamente connesso con quello di Stato. Il popolo sono i molti che è possibile pensare come uno: «Il popolo è un che di uno, che ha una volontà unica a cui si può attribuire una volontà unica». Fuori dallo Stato è possibile pensare i molti, nello Stato, invece, c’è il popolo-uno. Il non uno non trasferisce i propri diritti al sovrano, la moltitudine, i molti in quanto molti, non convergono invece in quell’unica scelta che coincide con il concetto di Stato, cioè per quel monopolio della decisione politica che è appunto lo Stato. Il popolo è la volontà generale incarnata nello Stato” (qui).

Bogdanov nella tectologia parlava di organizzazione collaborativa. Ne ho parlato qui e qui, Si tratta allora di passare da forme di organizzazione competitiva a forme di organizzazione (relazione) collaborativa. Anche il rapporto degli umani con la tecnica, in questa ottica, apre a delle possibilità interessanti. Il cyborg, ibrido tra organico e inorganico, forma collaborativa tra organico e inorganico può essere oggi la macchina intelligente che incorpora il sapere collettivo.

Il tentativo sovietico di una pianificazione cibernetica dell’economia, si scontrava però con alcuni ostacoli che hanno a vedere con queste problematiche oltre a quelli della potenza computazionale e dello sviluppo della tecnologia digitale dell’epoca. Qui introdurrei un altro concetto quello di organizzazione come forma di relazione.

Gli studi femministi, anti specisti, anti coloniali, ci parlano di un soggetto di relazione. Non c’è né soggetto in sé, né oggetto in sé. Non ci sono nemmeno cose in sé, non c’è cioè una realtà data una volta per tutte, ma tutto c’è, esiste, nella relazione. Ma non è un semplice relativismo, questo presupporrebbe degli enti preesistenti che entrano in relazione, parlo invece dell’esistenza di relazioni di relazioni. C’è soltanto informazione, messa in forma e grammatizzazione delle interconnessioni. Anche il cervello è plastico dice Catherine Malabou. Ma, se tutto è e avviene all’interno di una relazione, che senso hanno allora le categorie e gli attributi? Ma proprio questi, queste configurazioni plastiche, sono le relazioni, la possibilità stessa di relazionarsi, e lo si può fare all’interno di figure (figurazioni) collaborative o di figure competitive. La figura è opposta al nulla, c’è qualcosa perché ci sono queste figurazioni, queste intelligenze animali e cosali che riescono ad avere un agency, una performatività che permette l’interazione.

Tornando alla pianificazione, nell’esperimento sovietico si manifestò un conflitto ideologico nella costruzione del modello. Il punto dirimente era che la formazione dei prezzi delle cose non poteva essere il frutto di un rapporto di domanda e offerta, ma doveva essere connesso al suo valore d’uso. Valore che perciò veniva deciso una volta per tutte dal Gosplan (una specie di ministero per la programmazione economica). I programmatori pensarono di usare dei “prezzi ombra” che non facevano riferimento al mercato ma conservavano egualmente lo status di variabili, non erano infatti dati per fissi, dall’esterno e riferentesi a quell’ipotetico valore d’uso dell’ortodossia marxiana, ma, da questo punto di vista, furono ostacolati in tutti i modi. Adesso, e all’interno di una ipotesi decentrata e di tipo collaborativo, il problema non si dovrebbe porre, perché il prezzo può essere anche determinato dalla domanda, una domanda che non risponde però a interessi singoli ma al bene comune, rimandando dunque a una possibile determinazione che tiene conto del suo valore d’uso contestualizzato. Valore d’uso suntuario, valore d’uso affettivo e quant’altro compresi. Il prezzo stesso, inserito nelle interazioni del sistema, si determinerà tramite queste interrelazioni che lo connettono e partono dallo sforzo collettivo che serve per produrlo e quindi anche dalle ore lavoro occorse allo scopo. In questo caso l’interpretazione ortodossa del pensiero marxiano non avrebbe nessun problema a validare l’algoritmo. Interessanti a questo proposito “Molecular Red” di McKenzie Wark e “Piattaforme per una abbondanza rossa” di Nick Dyer-Witheford inserito in un’opera collettanea a cura di Matteo Pasquinelli, ma anche il romanzo storico ben documentato e ricco di note e riferimenti di cui vi avevo già parlato: “Red plenty” di Francis Spufford tradotto con “L’ultima favola russa”. Senza dimenticare il tentativo di pianificazione “cibernetica” dell’economia promosso da Allende e abortito dal colpo di stato la cui storia è raccontata in questo testo di Eden Medina.

Penso che “la rivoluzione” non sia un evento ma un processo. Il socialismo e il comunismo non sono fasi che si aprono dopo un cambio di potere. Questa credenza era legata alla inevitabilità della lotta di classe per la quale prima o poi (ma anche molto poi) la classe subordinata si ribellerà e quando questo avverrà per mano del proletariato che è l’ultima delle classi, ci sarà la fine della lotta di classe e la fine della storia. Ma in un mondo globalizzato, la deposizione della borghesia in un posto, non fa cessare la lotta di classe, perché essa continuerà con altri strumenti, pensiamo per esempio all’embargo su Cuba. Il dominio del capitale o, in termini di classe, della borghesia, non si esercita soltanto attraverso il monopolio del potere politico e non si determina soltanto con la capacità di esprimere lo stato di eccezione come detto dalla filosofia politica del secolo scorso, ma attraverso dispositivi complessi come il patriarcato, lo scientismo applicato alla natura che la vede come elemento esterno, il modo di produzione energivoro, la serializzazione della produzione. Smith, a proposito della divisione del lavoro, parlava del vantaggio collaborativo (così come Bogdanov nei confronti della organizzazione), non di una produzione del medesimo in un numero enorme di manufatti. Lo slogan di quest’ultimo era che uno più uno fa più di due. Dentro questa visione, la borghesia concentra la sua visione della libertà in quella relativa alla difesa della proprietà privata, facendo derivare a cascata una visione individualistica e competitiva delle relazioni. Per questo ho parlato della sostituzione delle individualità borghesi competitive con le individualità della cooperazione, collaborazione (di nuovo qui il concetto di moltitudine ci è di aiuto) e non di una disindividuazione che si liquefa nel popolo.

Il socialismo – comunismo si costruisce da subito, la rivoluzione è dunque quel processo teso alla destituzione della borghesia. Cosa significa allora fare la rivoluzione? Significa essere dentro il processo, decostruire la cultura borghese e costruire strutture relazionali e collaborative antagoniste ivi compresa un’idea della pianificazione collaborativa che la tecnologia digitale permette.

L’organizzazione tectologica (vedi Bogdanov) è opera allora di una infinità di soggetti umani e non umani, organici e inorganici che abitano il mondo perché sono il mondo: quella messa in forma neghentropica che fa sì che, al posto del nulla, le cose siano. Il contributo umano, come del resto degli agenti, è allora questa messa in forma: è un’etica, un’estetica, o un modo di abitare perché, come dice Holderlin: “poeticamente abita l’uomo”. Poesia è allora e per esempio, l’ordine urbano delle relazioni abitative. Poesia, etica, estetica, erotizzazione (Bifo) diventano perciò piani anche questi dirimenti per praticare forme di lotta efficaci.

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Nick Dyer-Witheford, Piattaforme per una abbondanza rossa, in a cura di Matteo Pasquinelli, Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune, Ombre corte, Verona 2014.

Hayek, Collectivist Economic Planning, Ludwing von Mises Insitute, 1967

Félix Guattari, The Anti-Oedipus Papers, Los Angeles: Semiotext (e), 2006, p. 418

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Per una critica al Capitalismo digitale – parte XXXIX

Ci sono Storie che si evolvono o involvono a una velocità tale che nessun libro riuscirà a fotografare, a darne cioè una versione che possa essere attuale. C’è per esempio la pandemia virale da Covid 19, con i suoi risvolti sociali, politici e antropologici che Zizek cerca di interpretare con uno strumento insolito: l’ebook in “divenire”. Il capitalismo digitale – quello che ha a che fare con universo contemporaneo dove tecnoscienza, Intelligenza Artificiale (AI) e amministrazione governamentale della vita si intrecciano – ha una velocità di trasformazione non così alta ma certamente più alta dei tempi editoriali di un libro cartaceo. Cogliamo così l’occasione di pubblicare anche noi un ebook in divenire che riprende gli articoli che sull’argomento sono stati pubblicati e che continueranno a essere pubblicati su “La città Invisibile” e in particolare la serie a puntate di “Per una Critica del Capitalismo Digitale”. Il libro non è terminato, anche per questo è in divenire, perché non è possibile mettere la parola fine a narrazioni che sono in corso. Verrà perciò aggiornato costantemente permettendogli così di essere in qualche modo dentro l’attualità. Ogni articolo ha una sua indipendenza e lo si potrà leggere anche senza aver letto il resto, così come ha anche una sua coerenza d’insieme, tale da poterlo leggere dalla prima all’ultima parte senza percepire nessuna frammentazione. Almeno questo è l’intento. 

Qui la I parte, Qui la II, Qui la III, Qui la IV, Qui la V, Qui la VI, Qui la VIIQui la VIIIQui la IXQui la XQui la XIQui la XIIQui la XIIIQui la XIVQui la XVIntermezzoQui la XVIQui la XVII Qui la XVIIIQui la XIXQui la XXQui la XXIQui la XXII, Qui la parte XXIIIQui la XXIVQui la XXV , Qui la XXVIQui la XXVIIQui la XXVIIIQui la parte XXIX Qui la parte XXXQui la parte XXXI,  Qui la parte XXXIIQui la parte XXXIII,  Qui la parte XXXIV , Qui la parte XXXVQui la parte XXXVI, Qui la parte XXXVII Qui la parte XXXVIII

Gilberto Pierazzuoli

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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