La religione capitalista

Per una Critica al Capitalismo Digitale

Quello che lega il significato al suo referente non è la coerenza razionale del significante; l’intima connessione tra l’oggetto e la sua enunciazione; la sua perfetta coincidenza; dipende invece dalla forza di cui dispone quel soggetto di enunciazione. Il valore della moneta non dipendeva dalla quantità di metallo prezioso che conteneva perché esso stesso doveva il proprio valore alla potenza del sovrano; alla potenza di colui che linguisticamente legava insieme significante e referenza. Il mondo digitale tende a sostituire il virtuale al reale, porta cioè all’eccesso la base semantica delle operazioni economiche: non si agisce più sulle cose e nella realtà, ma sulla sua rappresentazione e sui segni che la descrivono. «Il principio di realtà ha coinciso con uno stadio determinato della legge del valore. Oggi tutto il sistema sprofonda nell’indeterminazione, ogni realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione. È un principio di simulazione quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà» dice Baudrillard (p. 12).

Questi tempi fuori dai sesti, dove grande è la confusione, non è detto che si prestino alla costruzione di un cambiamento, ma che invece rimandino a realizzare la possibilità che tutto ci imploda addosso, che la catastrofe annunciata segua così il suo corso. Che la barbarie a venire, banchetti con i nostri corpi. Bisogna capire che questo è possibile, che entrambe le possibilità si danno. Sta a noi esserci.

Il capitale pretende la vita delle persone negandogli la possibilità di fare festa, non esiste più la festa come luogo delle relazioni sociali non mercantili. Il capitale comprime cioè gli spazi desideranti riconducendoli a soddisfazione dei bisogni. Il desiderio veicola la produzione di spazi di cambiamento, il bisogno produce soltanto (si badi bene, non è poco) torsioni convulse che possono però facilmente essere condizionate e deviate, alle quali stiamo assistendo in maniera macroscopica proprio in questi tempi.

La differenza tra bisogno e desiderio trova la sua ragione nel concetto di utile che qui si esprime come dispositivo di stornamento. Un’altra diavoleria semantica che lavora alle nostre spalle. L’economia delle relazioni simboliche che formano una trama che irretisce i soggetti di quelle relazioni. Che suggerisce la moltiplicazione dei soggetti e delle possibilità organizzative e narrative che la varietà permette. Sullo sfondo le società precapitaliste o non mercantili come spiegazione, ma anche come visione, come piani di svelamento che alimentino la macchina desiderante. Perché il desiderio non ha oggetto o, al limite, ha per oggetto cose che si determinano con meccanismi etici ed estetici. Perché anche riducendo in termini deterministici e assegnando al piacere il fatto di essere l’oggetto del desiderio, e calcolando semplicemente la quantità di dopamina che un evento provoca, questa quantità non è rapportabile in termini assoluti a un evento, non spiega e non quantifica l’evento; l’evento in sé è altro da possesso, ingestione, interazione. E ancor meno agli oggetti che caratterizzano quell’evento: la cioccolata, il sesso etc. Il desiderio non è semplicemente verso qualcosa, ma è l’affezione che vuole relazionarsi sensualmente con essa. Perché anche tutto questo si determina all’interno di relazioni ed è, in qualche modo, condizionato dai rapporti sociali. Come il riso e il comico, ha una relazione con ogni specie di convenzione: legge, consuetudine, senso comune. Perché è inserito in un contesto storicamente e socialmente determinato e in continuo divenire. Perché è inserito in un corpo sociale e nelle convenzioni comunicative che in esso circolano. Perché, a sua volta, è inserito in una sintassi e in una messa in significazione che si danno una forma che anch’essa contiene in sé condizionamenti – di nuovo – etici ed estetici.

Esaudire è dare ascolto (ex audire). Si esaudisce un desiderio non un bisogno. Un bisogno si ha, non si dice, non si pensa, non si sogna. Esaudire non è esaurire, non è svuotare il dire. Svuotare il dire sarebbe silenziare il desiderio. Silenziare il desiderio è una forma di oppressione, non una forma di soddisfacimento. Soltanto il bisogno si può esaurire. Ma dare ascolto a un desiderio non è tacitarlo, è anzi dargli voce. Esaudire è allora prendere atto dell’inesaudibile. «Si ha paura della morte perché la parte dei desideri inesauditi è cresciuta senza possibile misura» (Deleuze, p. 16). La soddisfazione è un’altra cosa. La soddisfazione è una forma di piacere, ma anch’essa non esaurisce il desiderio, spesso lo moltiplica. Vedi le forme di dipendenza che le scariche di dopamina provocano. Non a caso Agostino di Ippona che nella seconda fase della sua vita rifuggiva ogni piacere terreno, denunciava la dipendenza come un voler mantenere e in questo voler mantenere riconosceva un disagio, una paura che «ha origine nel voler possedere e voler mantenere propri dell’appetitus. Nel momento del possesso, il desiderio si trasforma in paura. Così come il desiderio desidera il bene, la paura teme il male. Il male, che la paura fugge, minaccia la vita felice consistente nel possesso del bene», dice Hannah Arendt (p. 24) a proposito del punto di vista di Agostino, cosa che lo porta a dire nelle confessioni:

È proprio nel passaggio dal disagio del desiderio alla quiete della sazietà che il laccio della concupiscenza mi insidia. Questo passaggio stesso è un piacere, e non c’è proprio altra via per arrivare là dove il bisogno ci spinge. E siccome è per la salute che lo si fa, al mangiare e bere si appiccica una pericolosa allegria e il più delle volte tenta anzi di far strada lei, in modo che io finisca a fare per lei quello che desidero o dico di fare per la salute. Salute e piacere non hanno la stessa misura: ciò che basta per restare sani è insufficiente al piacere e spesso non è certo se sia la necessaria cura del corpo a richiedere un sostegno o se a chiedere subdolamente d’essere servita sia invece la gola con le sue lusinghe. Questa incertezza mette allegria alla nostra povera anima, che così se ne fa in anticipo un avvocato difensore: ben lieta che non sia chiaro quanto basta alle norme del benessere fisico, per poter con il pretesto della salute ricoprire la manovra del piacere (Agostino, Le confessioni, X, 44).

Proprio perché Agostino vuole rifuggire il piacere, che riesce a ben riconoscere la sua connessione con il desiderio ed è allarmato là dove il bisogno si può camuffare da desiderio. E questo camuffamento che potrebbe essere testimonianza della provvidenza divina, diventa invece, in quest’ottica, una forma di tentazione.

Wolf Bukowski (qui) vede nel concetto di katechon, quella cosa che trattiene, il pieno espletamento della supremazia tecnologica che dovrebbe aprire al superamento messianico del lavoro, e portare a una umanità redenta, che alcune teorie propongono. La sinistra radicale (non ce n’è un’altra) deve per questo armarsi di altri strumenti di analisi, perché pur essendo la cooperazione sociale a generare gli avanzamenti tecnologici, di nuovo una verità, si trascura «il fatto che i più sofisticati strumenti sono concepiti solo nel e per il regime capitalista, di cui recano l’impronta digitale e l’ergonomia; si contemplerà giustamente, ancora, la necessità dell’ozio e del godimento in una società futura emancipata dal profitto, ma lo si farà permanendo compiaciuti in un immaginario consumistico» (ibidem). È qui, in questo panorama, che Bukowski non trova una forza che diriga invece l’automa in direzione di una «umanità redenta». Non c’è allora niente da accelerare se non per trovarsi di fronte a «un’escatologia triste e inorganica» (ibidem).

Ma una via di fuga, che non è un’accelerazione, che covi parentele e ibridazioni complesse di tipo instabile nella loro relazionalità, che si organizzino continuamente in base a questo divenire relazionale, forse è possibile pensarla. Perché il consumo non ha niente a che vedere con il desiderio, il desiderio non è soddisfacimento di alcunché. Il desiderio è fine a se stesso, è appetito e non appetito di. È un piacere senza feticci. Si gioca allora e ancora, qui e adesso, la capacità di riprendere la matassa che ci porta non tanto a un conflitto tra umani e macchine (abbiamo già detto che quest’espressione presuppone concetti quali il soggetto e l’oggetto, presuppone che soltanto il soggetto abbia capacità performative, presuppone processi di individuazione che si diano una volta per tutte) quanto a dover, una volta ancora, riuscire a capire che il problema non è la macchina, ma la macchina eterodiretta dal profitto. Il problema è la macchina di scopo che contrasta la macchina desiderante. Quale sia di carbonio e quale sia di silicio, di quali percentuali di carbonio e di silicio essa sia composta è indifferente. La macchina desiderante mossa in direzione di un piacere senza secondi fini può fare inceppare la macchina produttiva che ci sorveglia e ci controlla in modo tale che non possiamo fare altro che andare in quella direzione che gli algoritmi del capitale hanno pensato essere quella più giusta. La macchina desiderante può sconfiggere questo programma. La macchina desiderante può essere allora la macchina luddista: l’ossimoro paradossale che distrugge tutte le macchine.

Tutto questo sembrerebbe un così per dire. In realtà se non si accetta che ci possa essere una macchina celibe, che rimane celibe nonostante le infinite connessioni e articolazioni, la macchina di scopo rimarrà dietro l’angolo a minacciare l’ambiente-mondo umano e non umano. Se non riusciremo a far sì che la macchina produttiva non offuschi più la macchina della riproduzione estesa, la produzione per il consumo continuerà a girare a nostro discapito.

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Hannah Arendt, Il concetto d’amore in Agostino, SE, Milano 2004
Gilles Deleuze, L’esausto, nottetempo, Roma 2015
Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979

Per una critica al Capitalismo digitale – parte XXXVIII

Ci sono Storie che si evolvono o involvono a una velocità tale che nessun libro riuscirà a fotografare, a darne cioè una versione che possa essere attuale. C’è per esempio la pandemia virale da Covid 19, con i suoi risvolti sociali, politici e antropologici che Zizek cerca di interpretare con uno strumento insolito: l’ebook in “divenire”. Il capitalismo digitale – quello che ha a che fare con universo contemporaneo dove tecnoscienza, Intelligenza Artificiale (AI) e amministrazione governamentale della vita si intrecciano – ha una velocità di trasformazione non così alta ma certamente più alta dei tempi editoriali di un libro cartaceo. Cogliamo così l’occasione di pubblicare anche noi un ebook in divenire che riprende gli articoli che sull’argomento sono stati pubblicati e che continueranno a essere pubblicati su “La città Invisibile” e in particolare la serie a puntate di “Per una Critica del Capitalismo Digitale”. Il libro non è terminato, anche per questo è in divenire, perché non è possibile mettere la parola fine a narrazioni che sono in corso. Verrà perciò aggiornato costantemente permettendogli così di essere in qualche modo dentro l’attualità. Ogni articolo ha una sua indipendenza e lo si potrà leggere anche senza aver letto il resto, così come ha anche una sua coerenza d’insieme, tale da poterlo leggere dalla prima all’ultima parte senza percepire nessuna frammentazione. Almeno questo è l’intento. 

Qui la I parte, Qui la II, Qui la III, Qui la IV, Qui la V, Qui la VI, Qui la VIIQui la VIIIQui la IXQui la XQui la XIQui la XIIQui la XIIIQui la XIVQui la XVIntermezzoQui la XVIQui la XVII Qui la XVIIIQui la XIXQui la XXQui la XXIQui la XXII, Qui la parte XXIIIQui la XXIVQui la XXV , Qui la XXVIQui la XXVIIQui la XXVIIIQui la parte XXIX Qui la parte XXXQui la parte XXXI,  Qui la parte XXXIIQui la parte XXXIII,  Qui la parte XXXIV , Qui la parte XXXVQui la parte XXXVI, Qui la parte XXXVII

Gilberto Pierazzuoli